La Cina espande la capacità di importazione

Burma-China gas pipelineNel mese di ottobre è diventato operativo il gasdotto che collega la Birmania alla Cina. L’infrastruttura parte dal porto birmano di Kyaukpyu e finisce nella citta cinese di Guigang, nella provincia di Guizhou, per una lunghezza complessiva di 2.500 km (di cui 1,700 in territorio cinese).

L’infrastruttura ha una capacità annua di 12 Gmc, pari al 30% delle importazioni cinesi correnti (2012). Il gasdotto permette inoltre di raggiungere una parte del Paese troppo distante dall’altra grande fonte di gas importato via tubo, il Turkmenistan (circa 20 Gmc all’anno, in espansione fino  65 Gmc nei prossimi anni).

Il nuovo gasdotto è parte di una strategia più ampia del governo cinese per far fronte alla crescente domanda di gas naturale. I consumi nel 2012 sono stati di 154 Gmc, ma secondo la IEA il consumo dovrebbe arrivare a 307 Gcm nel 2020 e a 469 nel 2030.

La produzione interna, pur in crescita, non dovrebbe essere in grado di tenere il passo della domanda, con un conseguente aumento delle importazioni da 39 Gmc nel 2012 a 129 Gmc nel 2020 fino a 203 Gmc nel 2030.

La strategia messa in campo per soddisfare questa domanda prevede diverse misura. Accanto al nuovo gasdotto birmano e al potenziamento del Central Asia Pipeline dal Turmenistan, sono infatti previsti un aumento della capacità di rigassificazione e la ricerca di un accordo definitivo con la Russia per uno o due nuovi gasdotti.

Accordo con l’Iran: per ora pochi effetti sui mercati energetici

First Step Understandings Regarding the Islamic Republic of Iran’s Nuclear ProgramL’accordo tra l’Iran e le potenze mondiali (il 5+1) è stato raggiunto questa notte, dopo mesi di trattative altalenanti. Come riportato dai media, l’accordo prevede uno stop alle attività di arricchimento dell’uranio potenzialmente connesse a scopi bellici.

Quale sarà l’impatto sui mercati energetici, considerando che l’Iran è il quarto Paese al mondo per riserve di petrolio (157 miliardi di barili, 9,4% del totale) e il primo per riserve di gas (36.000 Gmc, 18% del totale)?

Nel breve periodo, l’impatto sul mercato petrolifero sarà molto limitato. In base agli accordi, l’Iran potrà mantenre gli attuali livelli di esportazione (1 milione di barili al giorno, contro i 2,5 di inzio 2012): nessuna improvvisa immissione sul mercato di nuovo greggio liquido, dunque, e nessuna pressione ribassista sulle quotazioni. Almeno per il momento e al netto della volatilità che la notizia potrebbe avere sui mercati dei prossimi giorni.

Nel caso del gas, l’impatto sarà nullo, perché in ogni caso l’Iran non ha effettuato investimenti sufficienti in capacità produttiva e di esportazione per portare sui mercati internazionali le sue enormi riserve con così poco preavviso. Anche in caso di sblocco completo delle sanzioni, occorreranno anni per avere effetti rilevanti sui mercati internazionali.

L’accordo resta in ogni caso un elemento molto positivo non solo per la stabilità regionale, ma anche per i mercati energetici, perché nel breve periodo riduce il rischio di interruzioni dei transiti nell’area del Golfo e nel medio-lungo periodo pone le condizioni per l’arrivo sui mercati energetici di nuova capacità produttiva in grado di far fronte alla crescente domanda asiatica. A vantaggio di tutti i consumatori, oltre che degli iraniani.

Esportazioni UE in Ucraina? Tanti dubbi

UcrainaContinua la battaglia di dichiarazioni introno all’Ucraina in vista del terzo summit sul Partenariato Orientale UE. Da un lato, Gazprom ha da tempo intensificato il proprio pressing accelerando i preparativi per la costruzione di South Stream.

Dall’altro lato della barricata, si moltiplicano gli sforzi di quanti in Europa cercano di limitare il ruolo di Gazprom in Ucraina. In particolare, ha molto risalto in questi giorni la notizia dell’accordo preliminare sulla realizzazione di capacità di controflusso dalla Slovacchia verso l’Ucraina, che da  settembre prossimo si andrebbe a sommare ai flussi inversi dall’Ungheria e dalla Polonia (2,5 Gmc attesi per quest’inverno, sui 5 contrattualizzati con RWE).

Se agli accordi seguiranno tutti gli adattamenti tecnici necessari, la capacità massima sarebbe di circa 10 Gmc dalla Slovacchia e 6-7 totali da Polonia e Ungheria. Esiste tuttavia più di un dubbio sulla fattibilità di questi progetti e sul loro eventuale impatto.

Nel 2012, l’Ucraina ha importato 33 Gmc di gas russo, il doppio di quanto si spera di importare dall’UE. Considerando che la produzione è stabile e che il potenziale non-convenzionale del Paese è ancora molto distante da un effettivo sfruttamento, difficilmente il calo dei consumi (-7,7% nei primi otto mesi 2013) potrà arrivare a dimezzare le importazioni. Le forniture russe resteranno dunque in ogni caso essenziali per coprire il fabbisogno.

A questo si aggiunge l’apparente paradosso che il gas esportato dall’UE verso l’Ucraina sarebbe alla fine praticamente tutto gas russo, ponendo una questione di prezzo. Perché senza un’ulteriore evoluzione dei meccanismi di integrazione dei mercati europei, difficilmente si potrebbero praticare stabilmete agli ucraini prezzi più bassi di quelli di Gazprom (e questo senza considerare le conseguenze rialziste per i prezzi finali europei). A meno di non immaginare un’UE che decida di sussidiare i consumatori ucraini.

Infine, ci sono fondati dubbi circa la solvibilità dell’Ucraina, che sta andando incontro a seri problemi a pagare le proprie importazioni (UE e FMI sarebbero pronti a intervenire). Per il solo gas, Naftogaz ha un debito pendente nei confronti di Gazprom di 1,4 miliardi di dollari: difficilmente si potrebbe immaginare un cliente in condizioni peggiori per gli esportatori europei. E difficilmente si riesce a immaginare un intervento politico sufficiente a stravolgere la razionalità economica dell’operazione.

La battaglia mediatica in vista di Vilnius resta aperta, ma la distanza tra dichiarazioni e realtà non sembra ridursi.

WEO2013: il declino europeo

IEA - WEO2013La IEA ha pubblicato oggi il World Energy Outlook 2013. Tanti gli spunti interessanti, ma uno in particolare ci riguarda da vicino: il declino dei consumi attesi europei per i prossimi decenni.

Ricordando che gli scenari e le previsioni ci dicono di più sul presente che sul futuro, è interessante notare quanto le stime IEA relative all’Europa siano più basse rispetto anche solo a quelle di un anno fa. Per l’UE, la domanda energetica totale attesa per il 2020 è più bassa di 64 Mtep (1.614 anziché 1.678) e questo anche se le stime a livello mondiale sono state invece riviste al rialzo di 103 Mtep (15.025 anziché 14.922).

Interessante soprattutto l’impatto sul mercato del gas naturale: i consumi attesi sono ora di 485 Gmc al 2020 e di 527 Gmc al 2030. Il mercato europeo si è perso in un anno tra 40 e 50 Gmc a medio-lungo termine, concentrati soprattutto nella minor domanda elettrica. Con il corollario che in caso di rivisitazione delle politiche ambientali europee, lo scenario potrebbe migliorare sensibilmente.

Date le previsioni di consumi attuali e considerando che la produzione UE è attesa stabile, il risultato è un minor fabbisogno atteso di importazioni. Di conseguenza, la necessità di nuove infrastrutture si sposta più avanti nel tempo. Sì sì, sto parlando (anche) di South Stream.

Per approfondire: il foglio elettronico con il confronto tra i dati delle previsioni vecchie e di quelle nuove.

Italia: gas a buon prezzo

Che l’energia sia un input dei processi produttivi e il suo prezzo influenzi la competitività delle industrie è un noto. E che le imprese italiane di tutte le classi di consumo paghino l’elettricità molto più della media europea e dei concorrenti tedeschi è putroppo una realtà consolidata.

Nel caso del gas naturale però il discorso è diverso, stando alle statistiche di Eurostat relative al primo semestre di quest’anno. Perché il gas in Italia costa più della media europea (18%) e delle Germania (20%) per i piccolissimi consumatori industriali (fino a 25.000 mc). Un discorso analogo vale anche per la classe successiva (fino a 250.000 mc).

Se però si considerano le fasce di consumo superiori, la situazione si inverte completamente e si registra un ampio vantaggio competitivo per i medi e grandi consumatori italiani (oltre il 20%).

Da dove nasce questo vantaggio? In parte dal costo del gas e dei servizi, ma solo per le classi di consumo medie e solo rispetto alla Germania. Il vero elemento di vantaggio competitivo per i medi e grandi consumatori industriali italiani è la tassazione, che letteralmente crolla dal 31% per i piccolissimi consumatori al 19% per i medi, al 10% per i grandi e addirittura all’8% per i grandissimi, mentre per i concorrenti europei resta ampiamente sopra il 20%.

Chiamala, se vuoi, politica industriale.

Prezzo del gas per consumatori industriali per classi, tasse escluse (Eurostat, nrg_pc_203)

Prezzo tasse escluse

Prezzo del gas per consumatori industriali per classi, tasse incluse (Eurostat, nrg_pc_203)

Prezzo tasse incluse

Componente fiscale del prezzo finale del gas per consumatori industriali per classi (Eurostat nrg_pc_203)

Tassazione


Per approfondire: il foglio elettronico coi dati e con tutte le elaborazioni.

Le difficoltà del post-Gheddafi e la sicurezza italiana

Tracciato del gasdotto GreenstreamL’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, ha recentemente dichiarato che le esportazioni di gas dalla Libia all’Italia potrebbero essere sospese a seguito di alcune manifestazioni di protesta popolare nei pressi della centrale di compressione di Mellitah.

Un episodio come questo evidenzia quanto il Paese nord-africano fatichi a ritrovare una stabilità interna, elemento necessario per la ripresa dell’economia e per assicurare prospettive migliori ai suoi cittadini e ai soggetti esteri che come Eni che vengono a lavorarvi.

La faccenda tuttavia non deve preoccupare l’Italia, che al momento si trova ad avere un eccesso di offerta di gas dovuto a molti fattori, non ultimo l’autunno particolarmente mite. Anche se venisse meno l’apporto del gasdotto Greenstream che ci porta il gas libico, non rischiamo affatto di rimanere al freddo o senza luce.

Più complessa è invece la valutazione su Eni, che ha storicamente puntato molto sulla Libia (Eni ottiene circa il 15% della sua produzione di idrocarburi da quel paese). Tuttavia, il problema principale di Eni non dovrebbe essere tanto quello di non poter importare il gas libico, quanto piuttosto quello di vedere minacciata la propria produzione di petrolio in Libia.

Eni può infatti utilizzare per l’Italia i volumi di gas che deve ritirare da Russia e Algeria in base alle clausole take or pay (volumi che si sono rivelati eccessivi), coprendo così la mancata produzione libica senza riportare un danno economico netto.

Diverso il discorso sul petrolio libico, che Eni può invece vendere sui mercati internazionali. Il perdurare dell’instabilità in Libia non può che implicare maggiori costi per la sicurezza e per il capitale (più è rischiosa un’attività, maggiore è il tasso d’interesse preteso dai creditori o dagli azionisti), cose non positive in questo periodo non troppo felice dell’economia mondiale.