In un post di oggi, Diego Gavagnin solleva la questione se il South Stream sia o meno nell’interesse dell’Italia. La sua risposta sembra essere “non troppo”, visto che il nuovo gasdotto in arrivo (ipotetico) al Tarvisio immetterebbe sul mercato italiano nuovo metano russo, che limiterebbe la concorrenzialità, aumenterebbe i prezzi e non sarebbe positivo per la sicurezza energetica nazionale. Inoltre, la nuova capacità di adduzione da Nord spiazzerebbe la nuova capacità di importazione da Sud, compromettendo la strategia che vuole fare dell’Italia l’hub meridionale del gas per l’UE.
Andiamo con ordine. Ammesso (e non concesso) che i flussi dalla Russia possano aumentare con la nuova infrastruttura, dovrebbero in ogni caso competere su un mercato sempre più concorrenziale: se il gas russo costa troppo, non si vende o si vende comunque meno degli altri. Nonostante Scaroni non si arrenda, sembra essere finita l’epoca in cui l’Eni poteva scaricare qualunque costo sui clienti finali.
Questo senza considerare l’effetto indiretto del South Stream: dare un altro colpo al Nabucco nella sua lotta contro il TAP, favorendo quest’ultimo e quindi l’arrivo del gas azerbaigiano in Italia, diversificando realmente gli approvvigionamenti.
E qui si arriva alla strategia dell’hub. Senza considerare che per fare hub occorre la capacità di esportazione (che al momento non abbiamo), immaginare per l’Italia un futuro da hub di transito nordafricano sembra una scommessa rischiosa, molto più rischiosa che farsi hub del gas russo (e eventualmente azerbaigiano).
A essere stato chiuso, di recente, è stato il Greenstream dalla Libia. E con le rivolte in Tunisia, si è rischiata l’interruzione del gas algerino, che pesa nei nostri consumi tanto quanto quello russo (circa un terzo). Le forniture dalla Russia sono sempre state affidabili e gli unici problemi si sono avuti per i ricatti ucraini, proprio quelli che South Stream è destinato a rendere inoffensivi. A tutto vantaggio della sicurezza energetica italiana.