Il vertice di Parigi sul clima: svolta o giro a vuoto?

ISPI - Palazzo Clerici - MilanoSegnalo ai nostri lettori che l’Osservatorio energia dell’ISPI ha organizzato per il tardo pomeriggio di mercoledì 2 dicembre un’interessante tavola rotonda che mira a fare il punto sulla Conferenza delle Parti di Parigi che si aprirà domani.

Come è noto, la conferenza punta a definire un accordo vincolante sulla lotta al cambiamento climatico, che superi i limiti del Protocollo di Kyoto e che permetta di contenere l’aumento della temperatura media mondiale a fine secolo sotto i 2° C rispetto all’era pre-industriale.

Un numero crescente di studi sottolineano l’importanza dell’azione, ma sul come e sul quando le divergenze restano fortissime. Da un lato abbiamo infatti alcuni paesi industrializzati e sensibili al tema che spingono per un accordo ambizioso, mentre dall’altro abbiamo molti paesi emergenti che vogliono prima veder svilupparsi le proprie economie e ritengono comunque che i responsabili storici (Europa e Nord America) dovrebbero fare di più e subito. Nel mezzo vi sono poi paesi ricchi che fanno fatica ad impegnarsi o per scetticismo relativamente alla causa o per timore dei contraccolpi economici.

Di tutto questo ne parleranno l’economista dell’ambiente Di Giulio, il direttore Affari generali di Edison Margheri, il direttore esecutivo di Greenpeace Italia Onufrio e il giornalista Pagni. Modera il direttore dell’Osservatorio energia Nicolazzi.

Palazzo Clerici, ore 17.30, Milano.

I rischi connessi all’approvvigionamento energetico italiano

Rischi globali e rischi regionali nel corso del 2015

L’Osservatorio di politica internazionale (Senato, Camera e MAE) ha pubblicato il rapporto preparato dall’ISPI su Rischi globali e rischi regionali nel corso del 2015. Tra gli scenari globali, si trova anche una sezione dedicata ai rischi connessi all’approvvigionamento energetico italiano, riportata qui di seguito.

“L’approvvigionamento energetico italiano presenta tre profili di rischio relativi alle dinamiche attese per il 2015, legati sia alla stabilità dei flussi di materie prime, sia alle minacce e alla competitività derivanti dai consumi energetici.

Il primo è la possibile destabilizzazione dei due grandi produttori energetici nordafricani, Algeria e Libia, che avrebbe ricadute particolarmente gravi nell’approvvigionamento nazionale di gas naturale. In caso di simultanea interruzione dei flussi, data l’assenza di altre infrastrutture di adduzione nell’area meridionale del nostro paese, l’afflusso di gas nelle regioni del Mezzogiorno presenterebbe notevoli criticità.

Il secondo rischio deriva dal permanere di basse quotazioni petrolifere (inferiori ai 50 dollari al barile) nel corso di tutto l’anno. Per molti paesi produttori, infatti, si tratta di una soglia inferiore a quella minima per mantenere in modo prolungato la stabilità sociale attraverso la spesa pubblica. In caso di destabilizzazione di uno o più dei medi produttori rilevanti, le quotazioni del greggio potrebbero risalire molto rapidamente, con grave danno per la bilancia dei pagamenti e per l’andamento dell’economia nazionale.

Il terzo rischio riguarda la competitività del sistema energetico nazionale, già gravata dalle scelte europee in tema di riduzione delle emissioni e di promozione delle rinnovabili. Se nella Conferenza delle parti di dicembre 2015 non si trovasse a livello globale un accordo ambizioso e universalmente vincolante per la riduzione delle emissioni, l’adozione unilaterale da parte dell’Ue di ulteriori obiettivi per il 2030 rischierebbe di compromettere in modo sempre più grave la competitività delle attività industriali produttive nazionali senza ricadute benefiche significative sul livello delle emissioni mondiali.”

Cosa cambia davvero con la svolta verde di Obama

Cosa cambia davvero con la svolta verde di Obama

Segnalo una mia intervista uscita oggi su Formiche.net, di cui propongo di seguito l’incipit.

Verda, il piano di Obama non accontenta tutti. Molte industrie si lamentano delle nuove misure perché dovranno sostenere costi maggiori, con la World Coal Association che minaccia di aumentare il prezzo dell’elettricità per i consumatori americani. Sono timori fondati?
Senza dubbio le industrie di carbone sono destinate a perdere quote di mercato e potrebbero decidere di colmarle così. Ma si tratta di una visione soggettiva. Perché se da un lato alcuni settori registreranno perdite, altri – come quello green – guadagneranno. Ad ogni modo un piccolo aumento di elettricità non dovrebbe essere drammatico per l’industria americana.

Però il mondo politico sembra spaccato.
Ognuno coccola il proprio elettorato. Quello democratico è dalla parte di Obama, che non a caso ha citato come unico leader mondiale Papa Francesco, facendo riferimento alla sua Enciclica, Laudato si’. Ha persino incluso una suora nel suo gruppo di lavoro. Un modo per lanciare un messaggio ai latinos. Mentre la destra repubblicana cerca di rassicurare le corporation, minacciando anche iniziative ostruzionistiche.

Il resto dell’intervista è accessibile qui.

Obama colpisce il carbone, ma a contare sono i consumi cinesi

Il presidente statunitense ha annunciato un piano di riduzione delle emissioni più stretto del previsto, con l’obiettivo di un taglio del 32% rispetto ai valori del 2005 entro il 2030. Tante le componenti che contribuiranno al risultato, dall’aumento dell’efficienza alla diffusione delle rinnovabili, ma l’elemento cruciale di questa accelerazione delle politiche climatiche statunitensi sarà la riduzione dell’utilizzo del carbone nella generazione elettrica, a favore in primo luogo del gas naturale, economico e con emissioni pari a quasi la metà.

La data dell’anno base (2005) è convenientemente posta alla vigilia dell’esplosione della produzione del gas da argille negli Stati Uniti e del crollo dei prezzi del gas in Nord America. In pratica, la sostituzione del carbone col gas sta già avvenendo, grazie a meccanismi di mercato. E se le tecnologie di accumulo elettrico continueranno a svilupparsi, anche il solare potrebbe erodere quote significative.

Si attendono i dettagli del piano di Obama e le contromosse dell’opposizione interna, ma la chiave del successo nel raggiungere l’obiettivo del -32% sarà quella di ridurre drasticamente la produzione delle centrali a carbone più vecchie. Ottima cosa, soprattutto perché si ridurranno gli inquinanti locali senza aumentare la dipendenza dall’estero, visto che sia il gas sia il fotovoltaico sarebbero fonti interne. Ma cambierà radicalmente la partita globale della lotta al cambiamento climatico? Guardiamo qualche dato.

L'evoluzione dei consumi di carbone delle principali economie (1965-2014)

Non solo la Cina è il principale consumatore di carbone al mondo da 25 anni, ma è arrivata a consumare più carbone di tutte le altre economie del mondo messe insieme.I principali consumatori di carbone al mondo (2014)

Grazie al costo contenuto, il carbone rappresenta infatti stabilmente la principale fonte di energia delle grandi economie emergenti, una situazione che nelle previsioni dell’IEA è destinata a continuare nei prossimi decenni. Nello scenario di riferimento, i consumi cinesi dovrebbero crescere costantemente anche nel prossimo decennio, arrivando a 10.200 Mtep nel 2030.
La quota del carbone sui consumi di energia primaria (2014)

Insomma, quando si parla di carbone (e di emissioni), si parla in primo luogo di Cina. Il contributo di tutti è utile, ma senza una seria riduzione delle emissioni cinesi, gli sforzi degli altri restano marginali: basti pensare che le emissioni cinesi già oggi sono quasi 2,5 volte quelle di tutti i 28 Paesi UE messi insieme. E che nel 2020 saranno il doppio di quelle statunitensi. Intanto, però, il governo di Pechino ha già annunciato che potrebbero continuare crescere fino al 2030.

La mossa di Obama, oltre a placare la sinistra liberal, dovrebbe in teoria servire a fare pressioni sulla Cina e sugli altri Paesi emergenti in vista della COP21 di Parigi, in programma a dicembre. Sarà tuttavia difficile convincerli a rinunciare al carbone e rallentare così il proprio sviluppo senza fornire alternative energetiche altrettanto economiche. Come peraltro accaduto agli statunitensi, che hanno preso sul serio la riduzione delle emissioni da quando dispongono del gas non convenzionale.
D’altronde, mica tutti sono autolesionisti come gli europei.

IEA: la mappa delle misure contro il cambiamento climatico

IEA - Addressing climate change: policies and measures databL’attenzione alle misure di contenimento delle emissioni climateranti continua a crescere, in vista della COP21 di dicembre a Parigi. Nel 2009, all’epoca della COP15 di Copenhagen, molti Paesi assunsero obiettivi vincolanti. I più ambiziosi furono senza dubbio quelli dell’UE, che adotto il pacchetto 20-20-20.

L’ambizione europea era quella di fare i primi della classe e tracciare con l’esempio la strada anche per le altri grandi economie. Tuttavia, finora la “virtuosità” europea è rimasta un fenomeno isolato: mentre le emissioni europee continuano a diminuire (soprattutto a causa della crisi) e quelle statunitensi si sono stabilizzata (grazie al gas da argille che ha sostituito il carbone), nel resto del mondo aumentano quasi ovunque.

Per avere un’idea del quadro completo, segnalo il database pubblicato dalla IEA, con tutti i dati relativi alle emissioni climateranti e agli obiettivi di riduzione delle emissioni dei Paesi che li hanno fissati per legge (in verde nella cartina).

AgiEnergia – Gli scenari del futuro energetico: quali priorità politiche?

Gli scenari del futuro energetico: quali priorità politiche?Segnalo un mio articolo uscito oggi su AgiEnergia, di cui propongo di seguito l’incipit.

L’energia è parte di un processo economico e politico in continuo mutamento. Immaginare il futuro vuol dunque dire mettere insieme un numero enorme di variabili, dall’andamento incerto e dal peso mutevole. Un esercizio inevitabilmente destinato all’errore, ma dal quale decisori politici e operatori economici non possono sottrarsi per definire le proprie scelte.

Il conto dei numeri lo si può lasciare alle grandi organizzazioni, dalla EIA alla IEA, da Shell alla Commissione Europea, che nel tempo hanno elaborato complesse metodologie per combinare le variabili. Ciascuna coi propri bias, in base all’agenda politica preferita.

Nondimeno, a prescindere dallo specifico scenario, alcune priorità politiche “universali” sono destinate a dominare le scelte energetiche dei prossimi anni. Il modo in cui saranno combinate e l’importanza attribuita a ciascuna dai governi delle principali economie sarà determinante nel definire l’effettiva evoluzione del settore energetico a livello globale.

…continua qui.