La multinazionale petrolifera per eccellenza, ExxonMobil, ha dovuto interrompere le operazioni di perforazione nell’Artico russo a causa delle nuove sanzioni statunitensi. In particolare, Exxon ha bloccato i lavori della piattaforma West Alpha nel campo Universitetskaya-1, iniziati ad agosto.
Exxon è impegnata in un programma di investimenti da 700 milioni di dollari per l’espansione della produzione artica di cui fanno parte i lavori interrotti, nel quadro di una joint-venture con Rosneft da 3,2 miliardi di dollari.
Le sanzioni statunitensi iniziano così a fare male, anche se a breve termine gli effetti sono limitati. Di qui al 2020, però, il mancato sviluppo delle riserve artiche potrebbe costare alla Russia fino al 20% della propria produzione. Forse le stime sono un po’ alte, ma la tendenza è chiara.
Nel 2013 la Russia è stata il secondo produttore mondiale (12% del totale), con 10,8 milioni di barili, 700 mila meno dei sauditi ma 800 mila più degli statunitensi. Con 325 miliardi di export, il petrolio e i suoi derivati pesano per il 62% degli attivi di bilancia commerciale per Mosca.
Molto più dei 53 miliardi di dollari di gas che Gazprom dichiara di aver venduto fuori dall’ex-Urss nel 2013. Il gas però sembra una partita alquanto diversa.
Con le sanzioni, a rischio potrebbe esserci anche la tempistica dello sviluppo di Yamal LNG, l’investimento da 27 miliardi di dollari per un terminale di liquefazione da circa 22 Gmc/a sviluppato da una joint-venture tra Total, Novatek e China National Petroleum Corporation.
La storia in questo caso potrebbe però essere diversa: a limitare gli effetti delle sanzioni finanziarie potrebbero però arrivare capitali russi per 2.6-3.9 miliardi di dollari. A cui si aggiungerebbero, secondo le stime di Novatek, 20 miliardi di dollari della China Development Bank Corporation.
E i Paesi asiatici potrebbero giocare un ruolo anche nel fornire tecnologia per le attività di trivellazione: Igor Sechin in un’intervista a Der Spiegel ha ricordato che se i produttori tedeschi non vorranno fornire macchinari ai clienti russi, questi si rivolgeranno ai fornitori coreani e cinesi. Una boutade, ma non priva di fondamento.
La diversità tra i progetti di liquefazione del gas e quelli di trivellazione artica è in larga parte dovuta al diverso livello di complessità delle operazioni, per il momento possibili solo per i colossi occidentali. Tuttavia, anche se richiederà anni, l’avanzamento tecnologico asiatico è solo questione di tempo e di opportunità.
Opportunità che l’Occidente sembra offrire a ripetizione, noncurante delle conseguenze future delle scelte attuali.