In novembre l’Autorità aveva annnunciato l’intenzione di procedere a una revisione delle modalità di calcolo delle condizioni economiche per il servizio di tutela, che copre un terzo del mercato finale italiano (circa 18 Gmc all’anno) e che fa da riferimento anche per le dinamiche di prezzo sul mercato libero.
Attualmente, la tariffa della componente commercializzazione all’ingrosso (CCI, nel gergo dell’Autorità) – ossia il costo della materia prima in bolletta – è fissata con una formula che simula le quotazioni dei contratti di lungo periodo (95% greggio, gasolio e olio combustibile; 5% spot), quelli detenuti dai grandi operatori nazionali.
Tutto bene? Non troppo. Perché l’impianto dei contratti di lungo periodo (solitamente con clausola take-or-pay) è vecchio di decenni e non risponde più alle condizioni reali del mercato (le economie pianificate non esistono più, bruciare olio combustibile per generare grandi quantitativi di elettricità non è praticabile e i monopoli nazionali sono vietati dalla legilazione europea, per citarne solo alcuni). Tant’è vero che, grazie all’eccesso di offerta, i prezzi sui mercati all’ingrosso sono sistematicamente più bassi dei prezzi dei contratti di lungo periodo.
Chi ci rimette? I clienti finali, soprattutto. Perché i grandi operatori, per limitare l’impatto economico, comprano gas a prezzi spot e lo rivendono a prezzo regolato. L’Autorità riconosce apertamente che c’è un problema: «una regolazione divenuta obsoleta che comporta, date le condizioni e l’evoluzione del mercato, l’insorgere di rendite improprie a danno dei clienti finali».
Urgono quindi, secondo l’Autorità, modifiche alle modalità di calcolo delle condizioni economiche, per «trasferire al consumatore i benefici derivanti dallo sviluppo concorrenziale del mercato all’ingrosso». Per i dettagli, rimando al documento, che prevede sia un “allegerimento” della CCI (legandola maggiormente ai prezzi spot), sia un meccanismo di assicurazione contro le oscillazioni delle quotazioni spot (che remunererebbe comunque chi ha in portafoglio i contratti di lungo periodo).
Il risultato? Fino a -7,44% in bolletta, secondo le stime dell’Autorità. Un bel trasferimento di benefici, dai grandi grandi operatori a favore dei consumatori finali.
Una rapida stima dà conto delle dimensioni della questione: proiettando su base annua le tariffe attualmente in vigore per il cliente domestico tipo, un consumo di 18 Gmc vale indicativamente 15,5 miliardi di euro. La riduzione varrebbe 1,2 miliardi di euro all’anno.
Si tratterebbe di una riduzione netta di 800 milioni di euro all’anno per gli operatori (variamente distribuita a seconda dei portafogli e delle modalità di assicurazione introdotte, ma comunque in buona parte Eni e Edison) e 400 milioni all’anno in meno di pressione fiscale.
Gli operatori si stanno muovento attivamente per mettere i ammorbidire le proposte dell’Autorità. Come se questo non bastasse, il rischio è che venga meno anche l’appoggio “politico” all’Autorità (che formalmente resta indipendente) proprio a causa dell’impatto economico della misura, che ridurrebbe il gettito e sarebbe troppo favorevole ai consumatori.
Un duro compito attende l’Autorità: non si può che fare il tifo per lei.