Eni: World Oil and Gas Review 2014

ENI - World Oil and Gas Review 2014Eni ha pubblicato oggi la versione 2014 della World Oil and Gas Review. L’annuario raccoglie i dati relativi alla produzione, al consumo e ai flussi commerciali di petrolio e gas naturale.

Particolarmente interessanti la terza e la quarta parte della WOGR, dedicate rispettivamente alla qualità della produzione di greggio e alle attività raffinazione. Un unicum tra le fonti aperte e uno strumento particolarmente prezioso per studiare i mercati petroliferi.

Privatizzazioni Enel e Eni? Un processo inarrestabile

La Repubblica - Privatizzazioni, lo Stato si stacca dai colossi Eni ed EnelLe necessità finanziarie della Repubblica sono note e l’autunno si preannuncia caldo. Tra le misure che il governo metterà in campo per fare cassa è attesa anche la vendita sul mercato di un ulteriore 5% della partecipazione pubblica in Eni ed Enel.

A oggi, la partecipazione di Eni pesa per il 30,1% del capitale, divisa tra Ministero dell’economia (4,34%) e CDP (25,76%). Considerando che la capitalizzazione di Eni è di 69 miliardi, la dismissione varebbe tra i 3 e i 3,5 miliardi.

La partecipazione in Enel pesa invece per il 31,24% del capitale, tutta a controllo diretto del Ministero. Considerando che la capitalizzazione di Enel è di circa 38 miliardi, la dismissione varrebbe circa tra 1,5 e 2 miliardi.

Nel complesso, l’intera operazione dovrebbe portare nelle casse pubbliche circa 5 miliardi di euro, che si affiancherannno ai 2 miliardi arrivati per la partecipazione cinese in CDP Reti, secondo un progetto più volte ribadito dal ministro Padoan.

Dal punto di vista delle imprese, in realtà cambia poco, perché lo Stato resterà in ogni caso sempre l’azionista di riferimento.  Giova anche ricordare che a portare sempre più fuori dall’Italia gli interessi delle due multinazionali in realtà non è la composizione dell’azionariato, ma la necessità di investire e crescere sui mercati internazionali per restare competitivi. Anche senza considerare la crisi economica, il mercato italiano è comunque troppo piccolo.

Discorso in parte diverso vale per le reti, che per quanto si espandano all’estero, restano necessariamente centrate sul nostro Paese. E che strutturalmente rappresentano il punto più vulnerabile del sistema energetico nazionale, quello in cui l’aspetto di servizio pubblico resta più forte. E su cui il decisore politico a ragione si sta concentrando maggiormente (la questione partecipazione vs regolazione è poi un altro capitolo, ma lasciamolo da parte).

Siamo in ogni caso di fronte a uno storico cambiamento di paradigma: dopo decenni in cui in Italia Eni e Enel sono stati sinonimi di politica energetica, ora i pronfondi cambiamenti tecnologici, economici e istituzionali degli ultimi venti anni stanno portando a un’inevitabile biforcazione.

Da un lato Eni e Enel, un tempo attori e strumenti della politica, ora sempre più multinazionali private orientate al profitto come tutte le altre. E dalle quali il governo come azionista può tranquillamente uscire. Dall’altro lato la politica energetica, orientata alla salvaguardia della sicurezza nazionale e degli altri obiettivi scelti dal decisore, dalla riduzione delle emissioni alle condizioni di accesso per gli indigenti.

Per il decisore, le sfide a cui guardare sono due. A livello nazionale, quella di accelerare il processo di dismissione nelle partecipazioni a livello locale, che hanno completamente perso la loro ragion d’essere, ossia lo sviluppo delle reti locali, e che ora galleggiano o sono in perdita, afflitte da nanismo e in molti casi da ingerenze politiche.

A livello europeo, la sfida è invece quella di svolgere un ruolo più attivo nell’integrazione delle politiche energetiche europee, allo scopo di promuovere gli interessi del sistema produttivo italiano e di tutelare la sicurezza energetica nazionale. Pena, lasciare che la politica energetica e gli interessi di qualcun altro si travestano da politica europea.

Kashagan: ripartenza nel 2016?

Platts - When will Kazakhstan's Kashagan be able to restart production?Il giacimento di Kashagan rappresenta un elemento fondamentale per il futuro delle esportazioni petrolifere kazake, oltre che un investimento da parecchie decine di miliardi di dollari per le multinazionali coinvolte, tra cui Eni.

Come noto, la produzione nel giacimento è iniziata a ottobre 2013, per poi essere interrotta dopo poche settimane a causa dei cedimenti lungo le condotte che dai pozzi portano agli impianti di trattamento a terra.

Il ritorno alla produzione è previsto tra non meno di un anno e mezzo, secondo quanto riportato da Dina Khrennikova, associate editor di Platts, in un podcast dal titolo When will Kazakhstan’s Kashagan be able to restart production?

In particolare, le Autorità kazake e il North Caspian Operating Company (NCOC) hanno pubblicamente parlato di due scenari per il ritorno alla produzione: uno più positivo per la prima metà del 2016 e uno più negativo per la seconda metà del 2016. Tutte e due gli scenari potrebbero essere però troppo ottimistici. Le perdite sarebbero dovute a una scelta sbagliata nel grado dell’acciaio necessario a evitare la corrosione dovuta all’alto contenuto di acido solforico che contraddistingue gli idrocarburi di Kashagan. I problemi potrebbero inoltre essere dovuti anche alle saldature.

Le operazioni sono particolarmente complesse: occorre sostituire 200 km di condotte e i tecnici sarebbero ancora al lavoro per studiare il tipo di acciaio necessario. Secondo il governo kazako, però, la produzione dei tubi dovrebbe cominciare già ad agosto, con le prime consegne a dicembre: scandenze molto probabilmente irrealistiche.

Nonostante gli attriti causati dai ritardi, i rapporti tra il governo kazako e le compagnie sembrano ancora reggere [di necessità virtù…]. Il segno più tangibile è la decisione di imporre alla NCOC una multa di soli 30 milioni di dollari per ogni trimestre di ritardo: tutto sommato una cifra modesta, soprattutto se si considerano le decine di miliardi di investimenti già effettuati.

Un altro segnale di “pace” tra il governo e la NCOC è stato l’annuncio che non ci sarà un’indagine autonoma sui fatti che hanno portato all’interruzione della produzione: i panni sporchi potranno tutto sommato essere lavati in casa del consorzio, senza troppo clamore.

Intanto il governo kazako ha rivisto al ribasso le stime della produzione interna per il 2014 a 82 Mt, in linea con quelle dell’anno scorso. Il dato potrebbe però essere troppo ottimistico, considerando che i livelli del 2013 erano dovuti a una produzione record del giacimento di Tengiz, che non è detto possa essere ripetuta quest’anno.

Se consideriamo il possibile calo dei volumi e la parallela discesa delle quotazioni del greggio in atto, le pressioni sul governo kazako potrebbero far aumentare la tensione con la NCOC, oltre che far suonare l’ennesimo campanello d’allarme sull’eccessivo peso delle esportazioni petrolifere nell’economia del Paese.

Capitali stranieri? La differenza la fa la regolazione

Formiche.net - Soluzione Cassa depositi e prestiti per Saipem?«Sugli investimenti stranieri in generale, invece, il nodo a mio parere è un altro. O noi siamo fiduciosi di far rispettare le leggi italiane in Italia o avremo sempre paura degli investimenti, da qualunque parte provengano. Dobbiamo essere capaci noi di regolare il mercato, è questa la nostra sfida. I soldi americani valgono quanto quelli cinesi e una volta immessi nel mercato europeo sono soggetti alle nostre leggi. Dunque il problema non è il rapporto con la Cina, ma la propria capacità di autogoverno. L’esempio di Paesi come il Regno Unito, polo di attrazione di investimenti da tutto il mondo, lo dimostra».

Il resto della mia intervista su Formiche, realizzata da Michele Pierri, la trovate qui: Soluzione Cassa depositi e prestiti per Saipem? A scanso di equivoci, non ho cambiato idea sulle privatizzazioni: dico solo che tra Eni e Saipem, per fare politica industriale ha più senso mantenere in CDP la seconda.

CDP, Cina, privatizzazioni: parole in libertà

La Stampa - Pechino punta sull’Italia e compra azioni di Fiat e Telecom Il governo cinese sta investendo massicciamente in Italia: non solo Eni ed Enel, ma anche negli ultimi giorni Fiat, Telecom e Prysmian (ex-Pirelli cavi). Tutte partecipazioni di poco superiori al 2%, tali da far scattare l’obbligo di segnalazione alla Consob e quindi la pubblicità all’evento. A queste operazioni si aggiunge poi la partecipazione in arrivo in Terna e Snam Rete Gas, tramite CDP Reti.

Secondo i dati riportati da La Stampa, nel primo semestre gli operatori cinesi hanno investito all’estero 32 miliardi di euro, in 2.766 imprese di 146 Paesi diversi. E l’Italia ha giocato un ruolo di primo piano, con un controvalore di circa il 20% del totale: come si è detto, chi ha i soldi compra, chi non li ha vende.

Che il governo cinese investa anche per migliorare l’immagine del Paese in Italia è plausibile e spiegherebbe il sistematico sforamento della quota del 2%. Ma da un’operazione di marketing, oltre che di portafoglio, a una progressiva rottura del rapporto Italia-USA o a un affossamento del trattato di libero scambio transatlantico – come ipotizzato in alcuni commenti – ce ne passa parecchio.

C’è anche chi commentando si è dato alla fantapolitica, paventando una caduta di Renzi per mano americana. Non entro nel merito, ma forse varrebbe la pena tenere distinta la cessione della quota in Snam Rete Gas da pare di CPD dalla possibile vendita di Saipem da parte di Eni: si tratta di due aziende completamente diverse.

Certo, Saipem per i cinesi sarebbe un’acquisizione interessante dal punto di vista industriale, ma l’azienda, una delle società di ingegneria più grandi al mondo, non è specializzata in non-convenzionale. Non cambierebbe, insomma, le sorti della corsa cinese al gas da argille, settore nel quale peraltro le aziende cinesi stanno spendendo miliardi di dollari e acquisendo tecnologia e servizi direttamente dal mercato statunitense.

Quando giungerà l’ora del governo Renzi, bisognerà insomma trovare una giustificazione più plausibile. Ma magari intanto varrebbe la pena di interrogarsi seriamente sul modello di supervisione dei settori strategici una volta che il processo di privatizzazione andrà ancora avanti. Uno Stato in grado di regolare e monitorare le attività dei privati non è uno Stato più debole, ma uno più forte.

Energia e privatizzazioni: chi ha i soldi compra, chi non li ha vende

SE - Snam e Terna? Al 10% saranno del Governo cineseI fatti: CDP ha ceduto al governo cinese una partecipazione del 35% in CDP Reti, che a sua volta controlla circa il 30% di Snam Rete Gas e (tra poco) il 29,85% di Terna. Facendo una (impropria) moltiplicazione, 35% del 30%, a fronte di un esborso di circa 2 miliardi la quota in mano al governo cinese sarebbe di poco inferiore al 10,5%.

Abbastanza per farsi notare, ma decisamente troppo poco per comandare. Ma in fondo, che è successo? Il governo ha deciso molto cautamente di fare quel che si invoca da anni, ossia ridurre ulteriormente il perimetro della partecipazione pubblica nell’economia. Altrimenti detto, privatizzare.

Il processo di privatizzazione nel settore energetico è vecchio di almeno venti anni, quando si iniziò a trasformare in società per azioni Eni ed Enel e collocarne quote crescenti sul mercato. Fino ad arrivare a oggi, dove il governo controlla le due aziende con una quota di minoranza, del 31,2% nel caso di Enel e del 30,1% nel caso di Eni (di cui il 25,76% tramite CDP).

In tutto questo, il governo cinese ha già una quota di poco più del 2% nelle due aziende e potrebbe aumentare la partecipazione, soprattutto in caso di ulteriori dismissioni (5%?).

La ragione è abbastanza chiara: i decisori politici cinesi si trovano a gestire un eccesso di liquidità dovuto agli attivi di bilancia commerciale e utilizzano le riserve disponibili per acquisire partecipazioni di minoranza in ogni angolo del globo. Lo scopo è essenzialmente quello di diversificare il rischio che garantisca il mantenimento del valore del capitale nel tempo.

E i Paesi in crisi e a corto di liquidità, come l’Italia o la Grecia o la Spagna, offrono buone opportunità di investimento, a volte a prezzi d’occasione. E chi ha i soldi compra, chi non li ha vende. Domanda e offerta, tutto qui.

PS: Faccio notare, a latere, che a differenza di quanto ipotizzato a inizio anno, la cessione ai cinesi della partecipazione in CDP Reti non ha riguardato CDP Gas, che controlla il gasdotto TAG. Quello che trasporta attraverso l’Austria tutto il gas russo in arrivo al Tarvisio, per intenderci.