Le dinamiche politiche e commerciali delle esportazioni di Gazprom

OIES - The political and commercial dynamics of russias gas export strategySegnalo uno studio pubblicato dall’Oxford Institute for Energy Studies dal titolo The political and commercial dynamics of Russias gas export strategy, di  e Tatiana Mitrova. Il lavoro, dettagliato e ricco di fonti, rappresenta una lettura ideale per farsi un’idea piuttosto completa della situazione e per comprendere meglio la posizione negoziale di Gazprom di fronte agli operatori e ai decisori politici europei.

La prima parte è dedicata alla situazione di Gazprom, sottoposta alla pressione di diversi fattori negativi: la debolezza del proprio mercato più redditizio, l’UE; la crescente competizione sul mercato interno da parte di Novatek e Rosneft; i bassi prezzi del greggio, che riducono la redditività delle esportazioni di gas e in generale la flessibilità dell’economia russa; la difficoltà nel reperire finanziamenti sui mercati internazionali, a causa dell’incertezza creata dal regime sanzionatorio. Nel complesso, Gazprom sta attraversando un periodo difficile, come dimostrano anche le prospettive finanziarie.

OIES - Actual and estimated Gazprom revenues and EBITDA

A questo quadro si aggiungono anche i rischi di lungo periodo creati dalle politiche europee di diversificazione degli approvvigionamenti di gas. Nel lungo periodo, la risposta strategica di Gazprom è quella di consolidare la propria posizione in Europa e allo stesso tempo cercare una diversificazione dei mercati finali che riduca il peso relativo e la capacità di ricatto dei propri clienti europei. Per ragioni geografiche ed economiche, per Gazprom l’alternativa naturale all’Europa non può che essere la Cina.

La seconda parte è dunque dedicata alle attività orientali di Gazprom e in particolare alle prospettive di esportazione verso il mercato cinese. Nonostante l’accordo del maggio 2014, rimangono dei dubbi sulla tempistica della costruzione del gasdotto Power of Siberia, dovute al crollo dei prezzi del greggio (che ha ridotto i prezzi di esportazione del gas e aumentato la competitività del GNL), alle difficoltà di reperire finanziamenti internazionali per le aziende russe e all’incertezza circa l’evoluzione della domanda cinese di gas importato.

OIES - Russa's Eastern Gas Programme

Il contratto per Power of Siberia prevede la possibilità di far slittare al 2021 il completamento dell’infrastruttura, un’eventualità altamente probabile. Intanto, secondo gli autori dello studio, Gazprom starebbe cercando di spingere per sviluppare prima il gasdotto Altai (attraverso cui far transitare il gas prodotto dai giacimenti già coltivati in Siberia occidentale) e solo in un secondo momento completare Power of Siberia. Le diverse soluzioni restano aperte, anche se il fatto che CNPC abbia già iniziato la costruzione della continuazione di Power of Siberia in territorio cinese dà un’indicazione molto chiara delle preferenze di Pechino (e del probabile esito).

La terza parte è dedicata alla ristrutturazione della strategia di Gazprom nel mercato europeo, che nonostante tutto è destinato a rappresentare il focus primario delle operazioni della società russa anche nei prossimi decenni. Nonostante l’incertezza circa la domanda finale, la riduzione della produzione interna costringerà i Paesi europei a dipendere in misura crescente dalle importazioni. E il gas russo rappresenta una scelta obbligata.

Grazie alle infrastrutture di esportazione già esistenti e al basso costo del gas rispetto ai concorrenti, la compagnia russa può infatti realisticamente mantenere una posizione centrale nell’approvvigionamento europeo, anche se dovrà adattarsi ai cambiamenti sul mercato e in particolare al basso prezzo del GNL.

OIES - Gazprom’s average gas sales price in Europe compared to NBP

L’evoluzione del modello di business di Gazprom in Europa è peraltro già in atto: i prezzi dei contratti di lungo periodo allineati a quelli degli hub, l’introduzione di aste per la commercializzazione di parte del gas, un approccio più collaborativo nei confronti delle istituzioni europee. Un modello sicuramente più sofisticato ed esposto alla concorrenza rispetto a quello tradizionale, ma che può garantire la redditività di Gazprom anche nei prossimi decenni.

Un modello con un’interessante corollario politico, a mio avviso. In prospettiva, quanto più Gazprom sceglie di giocare secondo le regole del mercato unico europeo, tanto più la sua redditività sarà legata al corretto funzionamento del mercato europeo, incluse le attività di regolazione a livello nazionale e sovranazionale. Il che da un lato rende (ancora di più, se possibile) implausibile la possibilità che gli approvvigionamenti di gas russi siano usati come strumento di ricatto, mentre dall’altro rende i regolatori europei il centro naturale dell’attenzione politica russa.

Libia: il ruolo delle esportazioni energetiche e l’importanza per l’Italia

Libia, Gentiloni: il negoaziato è alla stretta finaleL’arrivo di un compromesso tra le fazioni libiche non troppo sgradite all’Occidente e alla Lega Araba parrebbe avvicinarsi, anche se restano tante incognite. Prima tra tutte, la possibilità che in sostegno del nuovo governo di unità nazionale possa arrivare una missione internazionale, come da tempo invocato dal governo di Tobruk. Intanto, ieri il Consiglio dell’UE ha dato il via libera alla seconda fase della missione navale nel Mediterraneo, che ora agirà fino al limite delle acque territoriali libiche.

Qualunque sviluppo arriverà nei prossimi mesi, il caos libico sembra destinato a continuare ancora a lungo. Intanto, l’Italia resta naturalmente in prima fila tra i Paesi più interessati a una stabilizzazione della Libia, non solo per bloccare i flussi immigratori ma anche per garantire la stabilità dei flussi energetici dal Paese nordafricano.

Guardando al ruolo della Libia nell’approvvigionamento energetico nazionale negli ultimi anni, emergono due fatti rilevanti. Il primo è che il gas e il petrolio libico sono importanti, ma non fondamentali per la sicurezza energetica italiana.

Quota della Libia sul totale delle importazioni italiane

Nel 2008, i flussi dalla Libia sono arrivate a rappresentare il 30% (24,5 Mt) del greggio importato e il 13% (9,6 Gmc) del gas importato in Italia. Con lo scoppio della guerra civile, i flussi dalla Libia sono crollati, senza tuttavia conseguenze rilevanti per gli approvvigionamenti italiani. Nel caso del petrolio, per via dell’esistenza di un mercato globale liquido, mentre nel caso del gas per via dell’esistenza di un sistema di importazione ampio e diversificato.

Il secondo fatto rilevante è che i flussi dalla Libia sono continuati in modo notevolmente stabile anche nell’epoca post-Gheddafi, nonostante la guerra civile. In particolare, il gas naturale ha ripreso a fluire (oscillando su base stagionale) a circa due terzi della capacità massima del gasdotto Green Stream, ossia a un ritmo di circa 500 Mmc al mese. A riprova del fatto che i giacimenti – Mellitah è offshore, ma gli impianti sono sulla costa – e le infrastrutture di trasporto sono stati adeguatamente protetti anche nel vuoto di potere formale della Libia post-Gheddafi.

Andamento delle importazioni mensili di gas dalla Libia

Che le infrastrutture energetiche siano ancora tutto sommato integre dopo quattro anni di guerra non deve stupire: le esportazioni di idrocarburi rappresentano infatti l’unica fonte di liquidità legale ancora in piedi per l’economia libica. Le esportazioni di petrolio vanno avanti essenzialmente dai terminali della parte orientale del Paese, sotto controllo del governo di Tobruk. Le esportazioni di gas avvengono invece esclusivamente dal gasdotto verso l’Italia ubicato nella parte occidentale, sotto il controllo del governo di Tripoli. Le rendite derivanti dalle esportazioni confluiscono, tutte insieme, nei conti nella Banca centrale libica, che poi le smista alle diverse fazioni che controllano le differenti regioni del Paese.

Controvalore delle importazioni italiane dalla Libia

Il danneggiamento di alcune infrastrutture di produzione ed esportazione petrolifera ha ridotto le esportazioni di greggio, aumentando l’importanza relativa delle esportazioni di gas, più stabili in controvalore e in volumi. Tuttavia il petrolio, esportato non solo in Italia, resta la fonte principale di finanziamento di tutte le fazioni impegnate nella guerra civile.

Controvalore delle importazioni petrolifere dalla Libia

Il valore totale delle rendite da esportazione petrolifera è stato anche influenzato profondamente dall’andamento delle quotazioni petrolifere. In particolare, nell’ultimo anno il crollo dei prezzi del greggio si è sommato alla riduzione dei volumi riducendo la nuova liquidità disponibile per la Banca centrale libica, costretta ad attingere anche alle riserve. Una tendenza che potrebbe continuare nei prossimi anni, data la possibile perdurante debolezza dei prezzi del greggio e la consistenza delle riserve finanziarie (76,6 miliardi di dollari a fine 2014) .

Controvalore delle importazioni petrolifere dalla Libia e prezzo del greggio

Nel complesso, l’esposizione della sicurezza italiana rispetto a un rischio di interruzione dei flussi dalla Libia è tutto sommato contenuta (sempre ammesso che le esportazioni di gas dall’Algeria attraverso la Tunisia restino stabili). Viceversa, l’importanza dell’accesso al mercato italiano per le diverse fazioni al potere in Libia continua a crescere, anche considerando che attualmente l’altra forma di finanziamento oltre agli idrocarburi è quella derivante dal transito dei migranti. Un’attività che nei prossimi mesi, tra inverno incipiente e missione EUnavfor Med, è con ogni probabilità destinata a conoscere una contrazione.

PS: qui il file excel coi dati relativi alle importazioni petrolifere dalla Libia dal 1995 al 2014, divise per Paese.

Il gas naturale liquefatto di piccola taglia

Il gas naturale liquefatto di piccola tagliaSegnalo un mio articolo per Agienergia, di cui propongo di seguito l’incipit.

Il trasporto di gas naturale allo stato liquido ha conosciuto nel corso del tempo un’incessante crescita dimensionale delle infrastrutture e dei mezzi impiegati, guidata dall’innovazione tecnologica e dalla continua ricerca di economie di scala.

Per capire la portata di questo processo, basti pensare che nel 1964 il primo terminale di esportazione di GNL della storia, quello algerino di Arzew, aveva una capacità annua complessiva di un milione di tonnellate (1,4 miliardi di metri cubi, Gmc), divisa su tre treni. Oggi, il sito qatarino di Rass Laffan ha un totale di 77 Mt/a di capacità (108 Gmc/a), con mega-treni fino a 7,8 Mt/a (11 Gmc/a) di capacità ciascuno.

Negli ultimi anni gli impianti di dimensioni ridotte hanno tuttavia conosciuto una nuova diffusione, a diversi livelli della filiera, prendendo il nome di GNL di piccola taglia (small-scale LNG). In generale, con questo termine ci si riferisce a infrastrutture e mezzi di trasporto con dimensioni ridotte rispetto agli impianti medi del mercato. La taglia ridotta può essere una caratteristica di tutta la filiera di trasporto, dall’esportazione fino al consumo, oppure può riguardare solo la distribuzione o il consumo finale.

Il resto dell’articolo è accessibile qui.

Egitto: Eni e il giacimento Zohr

Eni scopre nell'offshore egiziano il più grande giacimento a gas mai rinvenuto nel Mar MediterraneoEni ha diffuso ieri la notizia della scoperta di ingenti quantità di gas presso il prospetto esplorativo di Zohr, nell’offshore egiziano del Mediterraneo. La scoperta è di grande rilevanza, sia per il Paese mediorientale sia per la compagnia nazionale.

A giugno, Eni aveva siglato un accordo con il governo egiziano per investimenti nell’upstream del Paese pari a 1,5 miliardi entro la fine del decennio. L’accordo, oltre a consolidare la decennale presenza di Eni in Egitto, aveva anche consentito una parziale soluzione alla questione dei debiti commerciali egiziani verso la compagnia italiana, pari a 966 milioni di euro.

Secondo le stime, la quantità di gas presente nel giacimento sarebbe pari a 850 Gmc, ossia qualcosa come 14 volte i consumi italiani nel 2014, o a 16 volte la produzione di gas egiziana dello stesso anno. Si tratta di volumi notevoli, tuttavia la cifra non si riferisce alle riserve provate, ossia il gas presente con relativa certezza e producibile in modo economico. Si tratta invece, come il comunicato stampa dice chiaramente, della stima più alta relativa al gas in posto (in place), ossia tutto il gas che dalle indagini preliminari si calcola possa essere presente nella formazione geologica, a prescindere dal fatto che sia tecnicamente ed economicamente producibile.

EIA - Stylized representation of oil and natural gas resource categorizations (not to scale)

La quantità di gas che può essere effettivamente recuperato e commercializzato con profitto varia molto a seconda della conformazione geologica, delle tecniche adottate, dal costo del capitale impiegato per lo sfruttamento. Può arrivare fino all’80-90%, ma può anche attestarsi su percentuali considerevolmente più basse. Inoltre, le stime iniziali si basano su un numero limitato di dati empirici, mentre la reale consistenza dei giacimenti può essere – nel bene e nel male – confermata solo procedendo con le attività di perforazione.

In altri termini, la rilevanza della scoperta è innegabile e conferma la leadership europea di Eni nell’esplorazione, ma l’impatto dello sfruttamento richiederà tempo e molti dati aggiuntivi prima di essere valutato adeguatamente. Se la consistenza delle risorse presenti nel prospetto sarà confermata, in via preliminare si può ipotizzare una produzione di picco tra i 20 e i 30 Gmc all’anno, con un po’ di ottimismo. Ci vorranno tuttavia ancora diversi anni prima di vedere effettivamente il giacimento in produzione, probabilmente alla fine di questo decennio o all’inizio del prossimo, visto l’eccesso di offerta in vista a livello globale.

La scoperta di Zohr è importante per Eni, ma lo è anche (e molto) per l’Egitto. Il Paese ha oggi una capacità di liquefazione per l’esportazione di circa 16 Gmc/a, ma nel 2014 le esportazioni sono state pari a meno di 1 Gmc. La riduzione drammatica dei volumi esportati è dipesa dall’aumento della domanda interna, guidata dalla crescita demografica ed economica, e dalla contrazione della produzione. Questa doppia dinamica, dopo aver portato all’azzeramento delle esportazioni, ha costretto ora l’Egitto a diventare un importatore di GNL, grazie all’entrata in funzione quest’anno di un terminale galleggiante di rigassificazione (la FSRU Höegh Gallant).

Produzione, consumi ed esportazioni di gas in Egitto

La scoperta di Zohr potrebbe consentire all’Egitto di tornare a esportare volumi significativi di gas, riducendo il passivo di bilancia commerciale. Una possibile soluzione tecnica per l’esportazione sarebbe quella di portare il gas fino alla costa (170 km) via tubo e poi instradarlo ai terminali di liquefazione esistenti (Damietta e Idku). Resta tuttavia da vedere se tutti i volumi prenderanno la strada dell’esportazione, o se una parte finirà col rifornire il mercato interno egiziano.

In ogni caso, la scoperta è economicamente rilevante, ma dal punto di vista geopolitico e di sicurezza le conseguenze sull’area mediorientale sembrano essere limitate. Grazie alla scoperta, l’Egitto potrebbe ridurre il saldo netto delle importazioni di GNL, che tuttavia pongono pochi problemi di sicurezza, grazie all’ampia e crescente disponibilità di fornitori diversi. Per quanto riguarda la sicurezza – in senso stretto – degli impianti, il posizionamento offshore garantisce una maggiore difendibilità delle installazioni rispetto ad attacchi terroristici.

Dal punto di vista dell’utilizzo del nuovo gas egiziano presso altri mercati regionali, è da escludere ogni ipotesi di forniture a scopo politico, giacché Eni possiede i diritti di sfruttamento del giacimento e instraderà le eventuali esportazioni verso i clienti in grado di offrire il profitto maggiore, indifferentemente in Europa, in Medio Oriente o altrove. Con il benestare del governo egiziano, che ha un gran bisogno di Eni e dei suoi investimenti sia per fare cassa sia per sostenere la crescita economica di lungo periodo.

Turchia: esploso nuovamente il gasdotto dall’Azerbaigian

Explosion closes Azerbaijan-Turkey gas pipeline againA tre settimane dal precedente attacco, il gasdotto che collega il giacimento offshore azerbaigiano di Shah Deniz alla rete turca è stato fatto saltare nella provincia di Kars, nella parte orientale dell’Anatolia.

Il gasdotto era stato riaperto domenica, al termine dei lavori di riparazione dei danni dell’attacco di inizio agosto. Secondo quanto riportato, anche in questo caso le operazioni di ripristino richiederanno parecchi giorni.

L’attacco dovrebbe essere riconducibile al PKK, in risposta agli attacchi operati dall’aviazione turca contro le milizie curde in Siria. Oltre al gasdotto dall’Azerbaigian, nelle scorse settimane sono stati fatti saltare anche il gasdotto dall’Iran, l’oleodotto dall’Iraq e un elettrodotto, confermando la vulnerabilità delle infrastrutture energetiche turche e la loro rilevanza come obiettivi militari.

Ucraina e sicurezza energetica

Ucraina e sicurezza energeticaSegnalo un saggio di Diego Cordano dal titolo Ucraina e sicurezza energetica, pubblicato nella sezione approfondimenti del sito dei Servizi di informazione. Il lavoro è suddiviso in due parti. Nella prima, l’autore propone una riflessione sul concetto di guerra ibrida e sulla letteratura in materia. Nella seconda propone invece una lettura della questione russo-ucraina in chiave energetica, individuando tre modalità con cui gli aspetti energetici sono risultati rilevanti.

La prima modalità è quella del controllo militare delle infrastrutture chiave, tra cui naturalmente spiccano quelle energetiche. Durante le diverse fasi del conflitto, il controllo di gasdotti, linee elettriche e terminali di importazione, come dimostrato nelle operazioni condotte dalle forze armate indipendentiste sia in Donbass sia in Crimea.

Particolare accento è posto anche sull’entità delle riserve energetiche dell’area orientale del Paese, la cui sottrazione al controllo di Kiev costituisce un elemento fondamentale di indebolimento. Per quanto riguarda i giacimenti di carbone del Donbass, rappresentano infatti il 90% della produzione ucraina, anche se l’elemento più importante delle attività nella regione è la produzione industriale (un quinto del totale di tutta l’Ucraina, prima della guerra).

Per quanto riguarda gas e petrolio, le risorse presenti nell’area orientale del Paese sono probabilmente consistenti come sostengono le fonti citate dall’autore – a cominciare dal campo di gas da argille di Yuzivska, in Donbass – ma non sono ancora state provate e le attività di coltivazione richiederebbero in ogni caso diversi anni e molti miliardi di investimenti internazionali. Non solo è Shell ha dichiarato la forza maggiore per Yuzivska, ma anche Chevron ha abbandonato le attività in Ucraina occidentale, vicino al confine con la Polonia, per vai delle condizioni geologiche avverse e dell’incertezza sul quadro fiscale in Ucraina.

La seconda modalità è quella della pressione economica, a partire anzitutto dalla questione del prezzo delle forniture di gas naturale russo all’Ucraina. L’autore ricostruisce puntualmente i livelli di prezzo praticati da Gazprom a seguito delle decisioni russe di non rinnovare gli sconti concessi al governo ucraino prima delle destituzione di  Yanuchovic e giunti a scadenza nel corso del 2014.

Tutto vero, a cominciare dalla volontà russa di indebolire il nuovo governo di Kiev, ma il rischio però è quello di far apparire le scelte russe come unilaterali, laddove si inseriscono in un intreccio di mosse e contromosse, da parte delle diverse fazioni interne al sistema politico ucraino e da parte dei governi occidentali.

Per esempio, il ritiro degli sconti sul gas ha riallineato i prezzi praticati a Naftogaz a quelli pagati dai clienti dell’Europa occidentale (al netto di sconti particolari) e ha fatto venir meno una situazione di beneficio precedente concessa a Yanukovich, in risposta al cambio di regime a Kiev e all’inizio del sostegno finanziario occidentale all’Ucraina. Il contesto è come sempre fondamentale.

La terza modalità è quella della comunicazione strategica russa. Vecchia probabilmente quanto la guerra, la propaganda è utilizzata con maestria dal governo russo, come dalle controparti occidentali.