South Stream: l’altalena politica

Focus Sicurezza energetica - Q4 2013 .- Approfondimento South StreamIl progetto di South Stream rappresenta il completamento dello sviluppo post-sovietico della rete di gasdotti che collega la Russia all’Europa occidentale.

Dopo Yamal-Europa, Blue Stream e Nord Stream, la costruzione dei South Stream consentirebbe infatti di eliminare completamente il transito attraverso l’Ucraina del gas diretto in Europa e dei rischi connessi.

Si tratta di una scelta politica fortemente voluta dal Cremlino, in grado di far superare gli alti costi del progetto scaricando diverse decine di miliardi di investimenti per l’adattamento della rete direttamente sulle casse russe.

Come largamente politica è l’opposizione della Commissione europea alle attività di Gazprom a cui si sta assistendo da anni. E che oggi, grazie alla crisi ucraina, ha trovato nuova linfa. I toni sempre più accesi dello scontro politico internazionale stanno infatti rendendo vani i passi avanti fatti nei mesi passati e che avevano fatto credere anche al sottoscritto che si fosse arrivati vicini a un punto di svolta.

L’evoluzione della crisi ucraina è però quantomai difficile da prevedere e con essa il destino del South Stream. Di certo resta solo che abbiamo tutti tanto da perdere.

Per chi fosse interessato a qualche informazione più dettagliata sul gasdotto, consiglio la lettura dell’approfondimento dedicato al South Stream nel Focus Sicurezza energetica dell’ultimo trimeste 2013.

Prezzi indicizzati? Pro e contro

Julian Wieczorkiewicz - Abolishing Oil Indexation in Gas Contracts: Is it the cure-all?Segnalo un breve contributo di Julian Wieczorkiewicz (CEPS) dal titolo Abolishing Oil Indexation in Gas Contracts: Is it the cure-all?

I meccanismi di formazione del prezzo del gas sono progressivamente cambiati negli ultimi anni. Favoriti da un eccesso di domanda e da alcune evoluzioni istituzionali, i meccanismi di prezzo su base spot (ossia, incontro di domanda e offerta) sono andati diffondendosi anche fuori del Regno Unito.

In molti documenti ufficiali, la creazione di un mercato interamente basato sugli hub e sui prezzi spot, anziché sui contratti indicizzati di lungo periodo, è vista come un obiettivo per i prossimi anni.

Attualmente però i contratti indicizzati rappresentano ancora circa la metà di tutte le forniture di gas europee. E l’entusiasmo per le quotazioni spot tra i decisori politci è basato sul’equazione “prezzi spot=prezzi bassi”.

Ma l’equazione potrebbe non essere necessariamente così vera, oggi e soprattutto in futuro. In particolare, Wieczorkiewicz indica tre motivi:

  • i prezzi spot risentono della volatilità della domanda e per mantenersi relativamente stabili hanno bisogno di ulteriore capacità di stoccaggio, che però rappresenta un costo per il sistema;
  • il mercato europeo è destinato a dipendere sempre di più dalle importazioni e in un mercato completamente globale basato sull’LNG i consumatori europei dovrebbero competere sul prezzo con quelli asiatici (che oggi lo pagano di più), con il rischio di finire col pagare un prezzo superiore a quello delle forniture via tubo con prezzo indicizzato;
  • il prezzo del greggio potrebbe scendere, portandosi dietro i prezzi delle forniture indicizzate e rendendoli di nuovo pienamente competitivi.

Insomma, non si tratta di un’apologia, ma anche i contratti indicizzati hanno i loro pregi, non solo per i produttori.

South Stream: diversificazione a rischio

Sole24Ore - Scaroni (Eni): forniture garantite anche senza gas dalla Russia. Futuro in bilico per South StreamLa situazione in Ucraina rimane difficile e l’UE e gli Stati Uniti hanno avviato simboliche sanzioni contro soggetti russi e ucraini protagonisti della secessione della Crimea e della sua successiva annessione alla Federazione Russa.

Nel frattempo, aprile si avvicina e con esso la fine dello sconto concesso da Gazprom a Naftogaz sulle forniture di gas destinate al mercato interno ucraino. Il rischio di contenzioso sulle morosità di Naftogaz (2 miliardi di dollari, al momento) è reale e potrebbe portare a un’interruzione delle forniture.

Nonostante la diversificazione degli ultimi decenni, la rete ucraina resta indispensabile all’Europa occidentale per mantere i livelli di importazione dalla Russia. Almeno fino a quando il gasdotto South Stream non dovesse diventare operativo. A quel punto, il gas russo potrebbe arrivare in UE e Turchia senza dipendere dall’Ucraina, ma la sua realizzazione (la prima linea dovrebbe essere operativa da fine 2015) sembra incerta.

La crisi in Ucraina ha spinto a un’accelerazione da parte russa e ha portato a un passo dall’avvio dei lavori. Nonostante gli alti costi, Gazprom è infatti determinata a non dover più dipendere dalla collaborazione di Kiev per raggiungere i propri clienti. I contratti per i tubi e per la posa della prima linea sono già stati firmati, rispettivamente da aziende tedesche e italiane.

Resta però aperta la partita fodamentale, quella dello scontro tra Gazprom e la Commissione Europea, che vuole un’apertura del gasdotto alla concorrenza e contesta gli accordi bilaterali coi Paesi UE di transito. E che in clima di sanzioni potrebbe mettersi ancora più di traverso.

Pessimista in merito anche Paolo Scaroni, che in un’intervista ha detto che il futuro del gasdotto è fosco, a causa delle tensioni tra UE e Russia. Le parole del (probabilmente uscente) ad di Eni pesano, ma molto resta ancora da decidere e in buona parte dipenderà dall’evoluzione dei rapporti tra Kiev e Mosca.

L’Iran può cambiare il mercato mondiale del gas?

Simone Tagliapietra - Iran after the (Potential) Nuclear Deal: What’s Next for the Country’s Natural Gas Market?Nella disputa statistica su chi detenga le più grandi riserve di gas naturale al mondo, un solo Paese è in grado di competere alla pari con la Russia: si tratta dell’Iran, che vanta risorse per 33.600 Gmc. Per avere un’idea, si tratta dell’equivalente di quasi 500 anni di consumi italiani.

Eppure il Paese è da anni un importatore netto di gas naturale: le sanzioni e un mercato del gas interno particolarmente poco sviluppato costringono infatti l’Iran a importare dal vicino Turkmenistan parte del proprio fabbisogno.

Se i recenti passi avanti nelle negoziazioni tra l’Occidente e l’Iran sul programma nucleare iraniano portassero a una soluzione della questione, il quadro potrebbe tuttavia cambiare e il gas naturale iraniano potrebbe finalmente arrivare sui mercato globali.

Sul tema segnalo un interessante paper di Simone Tagliapietra dal titolo Iran after the (Potential) Nuclear Deal: What’s Next for the Country’s Natural Gas Market?

L’autore ricostruisce in dettaglio la situazione iraniana e analizza i possibili sviluppi per il futuro, guardando a una progressiva apertura ai mercati internazionali. Se nel breve periodo le conseguenze potrebbero essere limitate a causa dei tanti nodi da risolvere nella struttura interna del settore gas iraniano, nel medio e lungo periodo l’impatto potrebbe essere profondo e duraturo.

Il ricatto energetico (ucraino)

Sole24Ore - La Ue sotto il ricatto energetico Giuro, non è accanimento. Però sono un lettore affezionato del Sole24Ore e dopo aver letto un articolo di oggi, ritengo opportuno informare il lettore di un paio di errori:

  • i consumi europei nel 2013, secondo le stime di Eurogas appena pubblicate, sono stati di 462 Gmc e non di 492 Gmc (la differenza è pari più o meno ai consumi dell’intera Spagna);
  • le riserve stimate nel Bacino del Levante sono nell’ordine dei 1.000 Gmc e non di 1.000.000 Gmc (quest’ultimo numero corrisponde a circa 5 volte le riserve complessive a livello mondiale, secondo le stime attuali).

Una riflessione anche sul titolo, La Ue sotto il ricatto energetico. Sarebbe opportuno specificare che il ricatto è ucraino e non russo, giacché i rischi di interruzione delle forniture di gas non dipendono da Gazprom, ma dal fatto che l’operatore ucraino Naftogaz continua ad accumulare debiti per il gas ricevuto.

Se, come probabile, a inizio aprile assisteremo a una crisi (più o meno mediatica), sarà perché Naftogaz continuerà a non pagare e, una volta interrotte le forniture dirette al proprio mercato, devierà o bloccherà quelle dirette in UE, portando alla chiusura dei rubinetti da parte di Gazprom.

Morale della favola: il ricatto c’è, eccome. Ed è il ricatto del nuovo governo di Kiev, che vuole liquidità per saldare i debiti contratti con la Russia.

Il ruolo dell’energia nella crisi ucraina

CSIS - Crisis in Ukraine: What role does energy play?Segnalo anche io un post del CSIS dal titolo Crisis in Ukraine: What role does energy play? Si tratta di un’analisi lucida e puntuale, con una sensibilità piuttosto europea, nonostante sia diretta al decisore statunitense.

Per chi non avesse voglia di leggere tutto, riporto i passaggi chiave:

D1: In che modo la questione energetica ha contribuito alla crisi nella regione?

L’energia non ha fatto precipitare la crisi, ma ne è stata un dimensione importante (a causa della dipendeza ucraina e dal parallelo indebitamento di Naftogaz).

D2: Che probabilità ci sono che la Russia interrompa le forniture di gas all’Ucraina e all’Europa?

Non ci sono state minacce da parte delle autorità russe o di Gazprom di tagliare le forniture del gas a causa delle tensioni geopolitiche (il problema per l’Europa resta la perenne morosità ucraina).

D3: L’Europa può usare l’energia per fare pressioni sulla Russia o per ridurre la propria vulnerabilità?

Nel breve periodo, Europa e Ucraina hanno pochi strumenti a loro disposizione per ridurre la propria vulnerabilità energetica (soprattto l’Ucraina, che non ha altri fornitori). In un orizzonte temporale più lungo, l’Ucraina può diversificare, aumentare la produzione interna e ridurre i consumi di gas.

Q4: Gli Stati Uniti possono usare l’energia per fare pressioni sulla Russia, sostenere l’Ucraina o ridurre la vulnerabilità europea?

Nel breve periodo, no, perché non esportano gas (per quanto concerne il petrolio, rilasciare scorte per abbassare i prezzi mondiali e danneggiare la Russia non è un’opzione percorribile). In un orizzonte temporale più lungo, gli Stati Uniti possono avviare l’esportazione di GNL, ma non ci sono garanzie che gli europei sarebbero disposti a pagare il gas al prezzo dei consumatori asiatici (e il gas statunitense prenderebbe probabilmente quella via, essendo fatto da imprese in regime di concorrenza).