Commissione vs Gazprom: si avvicina la resa dei conti

Gazprom, al via procedura Ue Si avvicina un passaggio cruciale nella guerra tra la Commissione europea e Gazprom. Giovedì il commissario alla concorrenza Joaquin Almunia ha annuciato l’imminente invio all’azienda russa di una lettera con le contestazioni emerse alla fine dell’istruttoria per pratiche anticoncorrenziali nel gas avviata l’anno scorso (qui gli addebiti).

In sintesi, la Lituania ha contestato il comportamento di Gazprom, accusando l’azienda di imporre prezzi troppo alti e di abusare della propria posizione dominante. La Commissione ha così avviato l’indagine (estendendola a otto paesi dell’Europa orientale) e le dichiarazioni di Almunia fanno intendere che le prove raccolte spingeranno la Commissione a prendere provvedimenti contro Gazprom.

L’azienda rischia in teoria una multa fino a 10,9 miliardi di euro (il 10% del fatturato di Gazprom), anche se difficilmente si arriverà a una sazione così alta. Dopo l’invio della lettera e la possibilità per i legali di Gazprom di accedere al materiale raccolto si aprirà infatti una fase difensiva, durante la quale l’azienda potrà anche negoziare sanzioni più miti (oltre che naturalmente ricorrere in giudizio).

 La  lettera a Gazprom apre lo scenario di uno scontro che non sarà solo giudiziario, ma anche politico: difficilmente infatti il Cremlino resterà impassibile rispetto a un’eventuale contestazione. Ogni allarme circa le forniture di gas per questo inverno è però esagerato e strumentale, perché resta in ogni caso nell’interesse russo mostrarsi un fornitore affidabile in ogni circostanza.

I prossimi aggiornamenti relativi all’indagine saranno pubblicati nel registro dei casi al numero 39816.

ps: i più maligni potrebbero ipotizzare un collegamento tra il recente pressing mediatico di Gazprom su South Stream e il fatto che la decisione della Commissione fosse attesa per questo periodo.

South Stream: un pressing sull’Ucraina?

South Stream Transport signs Gas Transmission AgreementContinua il pressing mediatico di Gazprom per accreditare la costruzione di South Stream. Mercoledì è stata diffusa la notizia di un importante accordo tra Gazprom Export e South Stream Transport.

La comunicazione ufficiale naturalmente non riporta alcun dettaglio né sulla natura dell’accordo né sugli impegni esattamente presi dalle parti. In altre parole, difficile capire se oltre al comunicato stampa ci sia davvero qualcosa di rilevante, anche perché in ultima analisi si tratta sempre di società che fanno riferimento a Gazprom.

Il pressing mediatico resta in ogni caso notevole, come dimostrato dal roadshow organizzato in giro per l’Europa da Natural Gas Europe col titolo di Gas Dialogues (dopo l’appuntamento di Milano la settimana scorsa, il prossimo è a Lubiana, il 24 ottobre).

Gli annunci di Gazprom si stanno facendo particolarmente ambiziosi: 2015 inizio della costruzione, 2017 funzionamento a regime; 63 Gmc all’anno, di cui oltre 31 all’Italia, ossia 8 Gmc più della media degli anni scorsi. Credibile solo se la riduzione dei flussi dall’Algeria fosse strutturale: cosa molto improbabile, visti tra l’altro gli investimenti di Eni nel Paese.

La difficile situazione del mercato europeo e le previsioni di recupero reale solo nel medio periodo non permettono di vedere un mercato per il gas in più di South Stream, soprattutto considerando che il Nord Stream non è usato nemmeno per quella metà di capacità (27,5 Gmc/a) che la normativa europea lascia a Gazprom.

A meno di non chiudere i gasdotti attraverso l’Ucraina e dunque usare South Stream come tracciato totalmente sostitutivo invece che come capacità addizionale. E qui emerge una possibile spiegazione dell’accelerazione mediatica russa: fare pressione su Kiev.

A novembre a Vilnius si terrà il terzo summit sul Partenariato Orientale UE e la Russia sta combattendo per attrarre l’Ucraina verso la propria orbita (obiettivo appena raggiunto con l’Armenia, che ha rinunciato ai nuovi accordi con l’UE; per l’Ucraina non ci sono accordi pronti da firmare, ma le trattativa procedono).

Far credere all’Ucraina – e a Naftogaz, che a Gazprom deve parecchi miliardi di dollari – che South Stream sia una realtà industriale pronta davvero a partire potrebbe rivelarsi un’ottima arma contrattuale, magari per convincere il governo di Kiev a raffreddare i rapporti con l’UE e magari a cedere una quota della rete (e di Naftogaz) a Gazprom.

South Stream: retirement of a pipeline?

South Stream: evolution of a pipelineNon è andata molto bene a Natural Gas Europe, che ieri ha organizzato ieri a Milano una confererenza dal titolo South Stream: evolution of a pipeline.

Come detto, tra gli ospiti nel programma, tanti nomi italiani che contano: da Paolo Scaroni (ad Eni) a Maurizio Lupi (Ministro delle infrastrutture), da Roberto Maroni (Presidente della Lombardia) a Gianni Pittella (vice-presidente del Parlamento Europeo). Peccato che non si sia presentato nessuno, lasciando i russi (di alto profilo, peraltro) a parlare da soli.

Un bel segnale sul fatto che appaia sempre più evidente il bluff del gasdotto da 60 miliardi di metri cubi e oltre 17 miliardi di dollari di investimenti (ufficiali, in realtà molti di più, contando l’adeguamento della rete russa), la cui costruzione è annunciata dal 2015 e il funzionamento dal 2017. Troppo gas e troppo caro per un mercato in difficoltà come quello europeo.

South Stream è nel complesso un investimento posticipabile (se non del tutto evitabile), il cui senso era principalmente strategico, ossia porre sul tavolo un’alternativa al Nabucco originale, quello che avrebbe dovuto portare decine di miliardi di metri cubi mediorientali in Europa e che si è spento lungo la strada negli ultimi anni.

Sempre più attori sembrano non voler più reggere il gioco, soprattutto dopo che la decisione di costruire il TAP ha tolto dal tavolo anche le ultime vestigia del nome Nabucco. Obiettivo raggiunto, dunque, per il tubo di carta del Cremlino.

South Stream: l’Orso sta bleffando?

Questa estate le imprese partecipanti alla realizzazione del gasdotto South Stream hanno avviato un road show, che toccherà varie città europee e ha lo scopo di rendere noti i pregi e le virtù del progetto che dovrebbe portare entro il 2017 circa 63 mld di metri cubi di gas russo in Europa.

La tappa odierna si è tenuta a Milano e non doveva avere, agli occhi degli organizzatori, una valenza secondaria in quanto l’Italia è il punto di arrivo del gasdotto e uno dei maggiori acquirenti di gas russo.

Nel dibattito si è sottolineata la grande attenzione che il consorzio realizzatore sta ponendo ai temi della tutela ambientale e del coinvolgimento delle comunità locali che verranno interessate (a questo scopo si metterà a frutto la positiva esperienza acquista col Nord Stream).

Assai meno si è invece parlato degli economics del progetto: quanto costerà realizzare un tubo da circa 2200 km, di cui circa 900 in fondo al mare? a chi si venderanno e a che prezzo i miliardi di metri cubi che dovrebbe trasportare?

I russi presenti hanno citato vecchi dati IEA che prevedono una extra-domanda europea di importazioni di gas pari a 150-200 mld di metri cubi per il 2030. Tuttavia, si tratta di cifre che ritengo troppo ottimiste alla luce della perdurante crisi economica europea e della rapida penetrazione delle rinnovabili (in Italia i consumi di gas sono calati dopo aver toccato l’apice nel 2007-08). Se a questo si aggiunge che il Nord Stream da poco ampliato può portare 55 mld di metri cubi di gas, che si stanno progettando nuovi gasdotti come il TAP e che molti impianti di rigassificazione per l’Europa sono quasi inutilizzati è lecito domandarsi se abbia senso costruire questa enorme opera.

Tanto più che i mercati coinvolti, oltre all’Italia, dal tracciato (Bulgaria, Serbia, Bosnia, Ungheria, Croazia e Slovenia) valgono in totale poche decine di mld di metri cubi all’anno di consumi.

Forse, varrebbe la pena continuare a sacrificare qualche margine al quasi monopolista del transito Ucraina, piuttosto che investire 5-10 mld di euro in un tubo che potrebbe restare mezzo vuoto.

PS: avere qualche dubbio sull’effettiva realizzazione del gasdotto è lecito anche perché all’incontro di oggi non era presente nessun relatore di Eni e Edf, i maggiori partner europei del consorzio, e che anche i politici italiani (in parte scusati dalla perdurante crisi di governo che ci attanaglia) non hanno declinato all’ultimo l’invito per “superiori” impegni.

Enel e Hera firmano per il gas azerbaigiano

Enel sigla accordo con il consorzio Shah Deniz per l'approvvigionamento di gas da AzerbaigianPrimi contratti per l’acquisto del gas azerbaigiano di Shah Deniz, che saràportato in Italia attraverso il TAP. Ieri Enel e Hera hanno dato l’annuncio di aver concluso due contratti di fornitura della durata di 25 anni.

Il gas sarà fornito non prima del 2019 (probabilmente sarà 2020-2021). Per quanto concerne i volumi, Hera ha dichiarato 300 milioni di metri cubi all’anno, mentre Enel non ha specificato nel comunicato i volumi acquisiti.

L’annuncio della sigla dei primi contratti di fornitura rappresenta un ulteriore segnale positivo in attesa che, dopo la scelta del gasdotto, venga ufficializzata la decisione finale di investimento sulle attività upstream nell’offshore del Caspio, al momento in sospeso a causa delle incertezze di BP sulla ripartizione dei costi.

Guerra in Siria: il gas non c’entra

The Syrian conflict and gas pipeline routesDa più parti si leggono fantasiose ipotesi relative al fatto che l’accanimento contro Assad e il rischio di guerra generale in Siria siano in realtà funzione di un oscuro piano per impedire la costruzione di un gasdotto che collegherebbe il giacimento iraniano di South Pars all’Unione Europea.

Su tutti, segnalo questa perla, che riesce a confondere il gas con il petrolio (o forse l’autore pensa di metterli nello stesso tubo?) e non argomenta l’inspiegabile posizione della Turchia, ma almeno ha il pregio di avere dei link interessanti in fondo.

L’argomento: i produttori del gas del Golfo (capitanati dal Qatar) stanno armando i ribelli siriani per destabilizzare il Paese. Lo scopo? Impedire che la Siria diventi il punto di arrivo (o di transito verso il Libano, secondo altre versioni) di un gasdotto proveniente dall’Iran attraverso l’Iraq.

Da dove cominciare? Restiamo sul piano economico: i costi per garantire la sicurezza di un gasdotto lungo 2.000 km in una regione instabile sarebbero astronomici. A questo si aggiunge il fatto che per ripagare l’investimento, i costi di trasporto sarebbero alti anche ipotizzando una tariffa bassa (2 dollari ogni 100 km ogni 1.000 mc, ossia metà del Nabucco West): totale 800 milioni di dollari all’anno, solo per far arrivare 20 miliardi di metri cubi alle coste della Siria o del Libano.

Alla cifra si dovrebbero poi aggiungere i costi di un terminale di liquefazione (10 miliardi di dollari) e i costi di trasporto via metaniera. Per farla breve: con questo progetto, se anche il gas iraniano arrivasse in Europa, ai prezzi di mercato non ripagherebbe nemmeno i costi di produzione e trasporto. Figurarsi finanziare una guerra per impedirne il transito.

Dati alla mano, è più probabile una vendetta templare.