La manipolazione del mercato del gas

La manipolazione del mercato del gas

In un mercato del gas europeo che Eurogas press release on More customers, consuming less gas, in 2011 sotto il peso della crisi, mentre i costi dei contratti di lungo periodo con formula take-or-pay sono tenuti alti dall’indicizzazione al petrolio, i prezzi spot restano costantemente più bassi e gli operatori che hanno meno take-or-pay nei propri portafogli riescono a fare margini più importanti.

Non c’è da stupirsi che di fronte a questa situazione, i grandi operatori europei legati da contratti di lungo periodo – soprattutto con Russia e Algeria, ma anche Norvegia – cerchino di rinegoziare le proprie posizioni, ottenendo sconti e un maggior peso delle quotazioni spot nelle formule di prezzo. I primi a spuntare lo sconto sono stati i tedeschi di E.on (2010), ma quest’anno c’è riuscita anche Eni (con effetti retroattivi al 2011). Aggiustamenti marginali, ma che consentono di dare ossigeno ai bilanci.

Non c’è nemmeno da stupirsi del fatto che il principale fornitore di gas, nonché la principale controparte dei contratti take-or-pay degli operatori europei, cerchi in tutti i modi di difendere il favorevole status quo (il connubio “volumi garantiti + quotazioni alte” è una manna per i bilanci dei produttori). Il direttore per la strutturazione dei contratti di Gazprom, Sergei Komlev, ha recentemente paventato i rischi connessi al passaggio ad un modello più simile a quello americano, basato su soli contratti di breve periodo.

Come da copione, Komlev ha messo l’accento sulla necessità di mantenere contratti di lungo periodo per garantire gli investimenti necessari, paventando anche il rischio che prezzi più alti spostino volumi su mercati diversi da quello europeo. Su quest’ultimo punto, giova ricordare che per spostare volumi occorrerebbe avere le infrastrutture per farlo, e la rete di gasdotti che rifornisce l’UE è in questo senso un vincolo più per la Russia che per i Paesi europei.

Sulla questione degli investimenti, ammesso e non concesso che i contratti di lungo periodo siano indispensabili per creare nuova capacità di importazione, resta il fatto che l’indicizzazione ha da tempo perso la sua storica ragion d’essere (la sostituibilità del gas all’olio combustibile nella generazione elettrica, oltre alla difficoltà per i sovietici di prezzare una merce in un’economia pianificata) e che rappresenta una rendita per i produttori completamente scollegata dalle effettive dinamiche di domanda e offerta.

Il fatto che poi gli stessi produttori investano in nuove infrastrutture non significa che questa sia l’unica possibilità di garantire l’approvvigionamenti dei mercati europei. Come ricordato da Jonathan Stern, nessun altra materia prima si vende con contratti con un orizzonte temporale così lungo (oltre 15 anni) e sulla base del prezzo di un prodotto diverso (e scarsamente sostituibile).

Lungi dall’essere una protezione “da ogni forma di manipolazione del prezzo” – come ha sostenuto Komlev – in tempi di prezzi del petrolio strutturalmente alti, l’indicizzazione al prezzo del petrolio rappresenta dunque probabilmente la principale manipolazione del mercato del gas naturale in Europa.

South Stream avanza, sulla carta

South StreamNelle dichiarazioni di Gazprom, il progetto South Stream avanza a grandi passi. Il 13 aprile scorso si è tenuta a Mosca la prima riunione del consiglio di amministrazione del consorzio, presenti Paolo Scaroni (Eni), Henri Proglio (EDF), Harald Schwager (BASF), Alexey Miller e Alexander Medvedev (Gazprom), oltre al nuovo presidente Henning Voscherau, un altro politico tedesco (Gerhard Schröder, passato a Nord Stream) dimostratosi molto felice di passare alle dipendenze dirette dell’impresa di Stato russa. La vicenda è ripresa da Vitus Bering, che la inquadra nel contesto della vicenda South Stream.

Ho già affrontato il tema dell’assenza di domanda sufficiente a dare un senso economico alla realizzazione a breve di South Stream e il peggioramento della situazione in Europa ha se possibile rafforzato di dubbi sul fatto che per tutto quel gas (60 Gmc da South Stream, più 27,5 da Nord Stream II) ci sia mercato in Europa.

Per quanto riguarda invece la competizione con gli altri progetti sul corridoio Sud, quello che arrivano in UE attraverso i Balcani, i due progetti effettivamente in lizza – e sarebbe giusto che anche il Corrado Passera ne prendesse atto – sono TAP e SEEP, riforniti da Shah Deniz II (Azerbaigian), in continuo progresso. Più che rientrare in una strategia delle istituzioni europee, invero parecchio a corto di legittimità e di cartucce, questi progetti sono un tentativo dei competitors delle imprese coinvolte in South Stream di aumentare la competitività dei mercati finali, erodendo quote di mercato agli incumbents (leggi ex-monopolisti).

South Stream appare così soprattutto come un’operazione di chi, come Eni, cerca di mantenere il più possibile invariati gli equilibrî sui mercati finali. Nel caso italiano, infatti, l’arrivo di TAP consentirebbe ad imprese diverse da Eni di rifornire via tubo il mercato italiano escludendo completamente dal midstream il campione nazionale, avendo la possibilità di competere sul prezzo, a tutto vantaggio dei consumatori finali.

Sul fronte russo, i 10 Gmc di TAP – o SEEP, se l’Italia uscirà sconfitta – non sono tali da impensierire veramente Gazprom, che in UE ne esporta quasi 120 Gmc già oggi, e al massimo possono rallentare South Stream, quando emergeranno prospettive economiche sufficienti a giustificare l’investimento. Per i russi, il progresso di South Stream è dunque sostanzialmente un posizionamento cartaceo, in attesa di capire se la ripresa dei consumi ci sarà e quando. Per di più, la rete infrastrutturale russa si è sviluppata nel corso dei decenni e un’accelerazione proprio ora non sembra plausibile.

Un’ultima considerazione sulla competizione cinese: in realtà, i giacimenti della Siberia orientale che servirebbero a servire il mercato cinese sono in gran parte diversi da quelli, più occidentali, che servirebbero a sostenere i nuovi flussi verso l’Europa. Esiste invece una possibile sovrapposizione soprattutto su un’eventuale riesportazione di gas centroasiatico, ma non tale da precludere alcun progetto, allo stato attuale.

La competizione euro-cinese per il gas russo è invece in gran parte sulla priorità dell’allocazione degli investimenti. Sebbene una logica di differenziazione suggerirebbe di guardare a Est, tuttavia per Gazprom i clienti europei restano al momento gli unici in grado di garantire alti prezzi e il rispetto del diritto e dei contratti, mentre i cinesi hanno già tentato di ottenere prezzi molto inferiori a quelli europei e non offrono grandi garanzie di affidabilità in caso di contenzioso. Lo sviluppo orientale di Gazprom senza dubbio ci sarà (soprattutto su altri clienti asiatici), ma in ultima analisi le dinamiche del rapporto con l’Europa sono destinate a rimanere endogene, almeno nel corso del decennio.

Della (ipotetica) minaccia russa

GazpromSembra non passare mese senza che qualcuno lanci un allarme sulla morsa di Gazprom e della Russia sull’Europa. L’ultimo in ordine di tempo è Pietro Briggi su Meridiani, ma credo non mancheranno nuove voci nel coro.

Senza dubbio, le forniture russe sono indispensabili per l’Europa e per l’Italia. Ma chi parla di rischi concreti per i Paesi dell’Europa occidentale, dovrebbe prima confrontarsi con due punti non trascurabili. Il primo è che il gas russo rappresenta poco più del 20% dei consumi europei: anche se per alcuni Paesi dell’Est le alternative sono poche, nel caso dei grandi consumatori siamo ben lontani da una situazione di drammatica dipendenza (il dato per l’Italia nel 2011 è stato 34%).

E questo senza considerare che la capacità di importazione europea – e italiana – è sottoutilizzata, tanto che sfruttando le infrastrutture esistenti e collegando le reti nazionali in modo efficace sarebbe in linea teorica possibile fare del tutto a meno delle forniture russe. Almeno secondo  quanto dichiarato da Leonardo Bellodi di Eni di fronte alla 10a Commissione del Senato.

Un secondo punto con cui devono misurarsi i catastrofisti anti-russi è ancor più elementare: perché mai la Russia dovrebbe interrompere le forniture verso l’Europa? Al massimo può provarci l’Ucraina, per qualche giorno e solo per ricattare Mosca. Ma nulla più: e per questo basta lo stoccaggio, che peraltro Gazprom sarebbe ben contenta di finanziare anche in territorio europeo.

La Russia ha infatti nei mercati europei la sua prima destinazione di esportazione di combustibili fossili: su 255 miliardi di proventi, 156 sono arrivati dall’UE, tra cui la gran parte dei 43 totali relativi al gas naturale (dati del World Energy Outlook 20011 della IEA, riferiti al 2010). Difficilmente si possono immaginare ragioni per cui la Russia potrebbe dimostrarsi un fornitore inaffidabile e mettere a rischio questo flusso di cassa, che peraltro corrisponde a un quinto del PIL e due terzi delle esportazioni.

Oserei dire che c’è molto da pensare, per gli anti-russi per partito preso. Questo non significa che non ci sia bisogno di diversificazione dei fornitori, oltre che delle rotte (con buona pace dei tedeschi): ma questo è un altro discorso, a cui l’allarmismo fa più danni che servigi, confondendo le acque.

Venendo alle questioni più direttamente di casa nostra, anche nell’intricata vicenda Eni/Snam RG si profila all’orizzonte il rischio russo, anche se come pura ipotesi (plausibilmente senza prospettive reali: ma gli sparacchi servono a questo, no?). A parlarne è Alessandro Plateroti in un ottimo pezzo sul Sole24Ore di ieri, che torna molto più realisticamente a ventilare l’ipotesi di una super-Terna (in mano a CDP), regina europea delle reti. A Passera piacendo, sarebbe un’ottima idea. Aspettiamo fiduciosi gli sviluppi.