Segnaliamo un interessante studio di CDP dal titolo Disponibilità idrica e produzione di energia: rischi per la transizione?
Segnaliamo un interessante studio di CDP dal titolo Disponibilità idrica e produzione di energia: rischi per la transizione?
Segnaliamo un documento dell’Energy Information Administration statunitense dal titolo Levelized Cost and Levelized Avoided Cost of New Generation Resources, parte dell’Annual Energy Outlook 2017.
Lo studio cerca di valutare la competitività complessiva delle diverse fonti di generazione elettrica stimando il costo attualizzato per megawattora, calcolato considerando la costruzione e l’esercizio di un impianto di generazione nel corso di un determinato ciclo produttivo e finanziario anziché il solo costo marginale.
L’EIA cerca in questo modo di simulare, con diversi orizzonti temporali, le aspettative degli operatori che devono prendere una decisione di investimento. In particolare, si considera il costo livellato dell’elettricità per impianti che entreranno in servizio nel 2019, nel 2022 e nel 2030.
Tra i risultati più interessanti, la conferma della competitività sul mercato statunitense delle centrali a gas, con cui sembra poter concorrere su vasta scala solo l’eolico, pur con tutti i connessi problemi di discontinuità. Il fotovoltaico si conferma, anche nel contesto nordamericano, competitivo solo grazie ai sussidi (v. tabella).
Quanto al carbone, fino a poco tempo fa dominatore assoluto del mix elettrico degli Stati Uniti, le uniche stime disponibili sono quelle per impianti con entrata in servizio nel 2040 e prevedono costi (110-120 $/MWh) assolutamente non competitivi rispetto a gas, eolico, idroelettrico e nucleare. Conti alla mano, per il carbone sembra che la via del declino sia inevitabile, almeno in Nord America.
Il Gestore Servizi Energetici (GSE) ha pubblicato le statitische relative al mix iniziale nazionale dell’energia elettrica immesso in rete negli anni 2012 e 2013. Secondo i dati, che integrano produzione interna e importazione, nel 2013 le fonti rinnovabili nel loro insieme hanno contribuito per il 37,5% contro il 33,7% del gas naturale.
Come evidenziato anche dai dati Assoelettrica, si tratta di una tendenza consolidata, che peraltro è andata ulteriormente rafforzandosi nel primo semestre 2014. A dare un contributo essenziale, oltre ai sussidi alle rinnovabili, è stata soprattutto l’ottima prestazione dell’idroelettrico.
Notevole anche la quota stabile del nucleare di importazione, a conferma delle potenzialità di questa fonte e del ruolo che essa gioca non solo nel mix energetico francese, ma più in generale nel processo di consolidamento del mercato elettrico europeo.
Assoelettrica ha diffuso il nuovo numero la propria newsletter con l’analisi dei dati congiunturali relativi al settore elettrico italiano nei primi sei mesi del 2014.
Ancora cattive notizie: consumi in calo, con l’economia nel suo insieme che non dà segni di voler ripartire. Gli italiani hanno consumato da gennaio a giugno 143 TWh, quasi 5 in meno rispetto allo stesso periodo del 2013 (-3,2%).
A peggiorare il quadro, un calo della produzione interna ancora più marcato (-4,4%), che ha fatto peggiorare il saldo (già negativo) con l’estero. Importiamo generazione da carbone tedesca e, soprattutto, nucleare francese, per un totale di quasi l’8% dei consumi (qui i dati ICE relativi al controvalore nei primi 4 mesi).
Guardando alla generazione, benissimo l’idroelettrico (+8,5%), che favorito dalle condizioni climatiche si conferma la seconda fonte, con 29 TWh. Male invece il gas, la nostra fronte principale: le centrali elettriche a metano hanno generato solo 50 TWh (-16,2%). Stessa riduzione in percentuale dei consumi di gas per la generazione, a conferma che ormai stanno ferme le centrali più efficienti.
In questo quadro, oltre ai gestori dell’idroelettrico (il carbone bianco!), a passarsela particolarmente bene sono invece i recettori di sussidi per le rinnovabili, che solo nel primo semestre sono arrivati alla cifra record di 5,9 miliardi di euro, 400 milioni in più dello stesso periodo del 2014.
A essere maligni, si potrebbe far notare che la cifra è stata pari a tre volte quanto il governo cinese pagherà in totale il 10% di Snam e Terna. Oppure a quanto il governo si aspetterebbe dalla (s)vendita del 5% di Eni e Enel. Forse è ora di ripensare la nostra “politica” energetica?
Ricevo da Rinaldo Sorgenti e con volentieri pubblico.
È ben evidente che una Strategia Energetica Nazionale (SEN) debba affrontare argomenti che riguardano le prospettive a medio e lungo termine ed è quindi opportuno delineare una strategia bilanciata e sostenibile che comprenda argomenti come l’Efficienza Energetica e lo sviluppo della ricerca per la messa a punto di Fonti Rinnovabili affidabili e sostenibili per il futuro. Ma una componente fondamentale di una SEN deve altresì riguardare la produzione elettrica, che sempre più sarà la spina dorsale per un Paese che aspira a mantenere la propria posizione a fianco delle economie più avanzate nel mondo.
Questo è purtroppo il principale handicap che condiziona da lungo tempo l’economia del nostro Paese, che storicamente si base sulle capacità manifatturiere e sull’export dei propri prodotti. Peraltro, il rischio strategico che il sistema Italia subisce non ha eguali tra i Paesi sviluppati ed è ormai urgente che il Governo e i vari Stakeholder ne prendano finalmente atto per attuare quindi tutte quelle indispensabili iniziative che ci consentano di superare questo grave problema, che inficia pesantemente le capacità competitive del nostro Paese.
Per fortuna non c’è bisogno di guardare nella “palla di cristallo” per capire cosa necessiti fare: allo scopo, una semplice analisi del “Mix delle Fonti” per la produzione elettrica che si riassume nella media del 27 Paesi Ue ed ancor più la realtà del “Mix” dei Paesi del G8 e del G20 (con l’eccezione rischiosa ed insostenibile proprio dell’Italia), non può non fare da parametro e guida per le indispensabili decisioni strategiche da attuare.
Quali scelte quindi per il nostro Paese?
L’evidenza nella Ue27 dimostra che le “Fonti di Base” di un sistema affidabile e sostenibile debba necessariamente basarsi su CARBONE + NUCLEARE (come insegnano tutti i Paesi del G8 – Italia esclusa) e quanto più una delle 2 fonti è trascurata, maggiore è la necessità di ricorrere all’altra. L’Italia presenta chiaramente una situazione anomala ed asimmetrica, avendo solo il 13% di produzione da CARBONE e nulla (sul nostro territorio) dal NUCLEARE.
L’altra pesante anomalia italiana, è quella della produzione elettrica nazionale, dove l’Italia storicamente produce sul proprio territorio solo circa l’85% dell’elettricità che consuma ed è infatti il principale importatore in Europa di questo importante vettore.
In compenso, è positivo riscontrare che l’Italia indiscutibilmente presenti la migliore situazione in termini di intensità elettrica pro-capite (5,6) rispetto a tutti gli altri principali Paesi. Siamo infatti il Paese più “virtuoso” in termini di consumo elettrico. Lo siamo peraltro anche in termini di emissioni di CO2 pro-capite; elementi questi spesso mistificati e distorti nella comunicazione mediatica.
Peraltro, nessuno in Europa ha fatto così tanti investimenti negli ultimi 10 anni per ammodernare il proprio parco di generazione elettrica; purtroppo però questo è avvenuto quasi esclusivamente con la realizzazione di moderni “Cicli Combinati” alimentati a Gas Metano, per sostituire i vecchi “Cicli a Vapore” alimentati ad Olio Combustibile.
La demagogia e la speculazione comunicativa che si basa fondamentalmente su fuorvianti aspetti emotivi, ha invece impedito di diversificare ed equilibrare il nostro “Mix” con la realizzazione di alcune moderne Centrali a Carbone che per le caratteristiche orografiche del nostro territorio potrebbero agevolmente trovare la loro dislocazione lungo la penisola.
Infatti, concetti razionali di vera “Sostenibilità” per il sistema di generazione elettrica di un Paese avanzato si possono agevolmente riassumere nei punti seguenti:
Da un’analisi obiettiva risulterebbe quanto mai evidente che il Carbone sia un combustibile a tutti gli effetti “Sostenibile”, rispondendo in maniera opportuna a tutti e 6 i parametri sopra citati, soprattutto per un Paese notoriamente povero di “materie prime” come l’Italia, che dipende più di qualunque altro dalle importazioni energetiche per soddisfare i propri bisogni.
La risposta tecnologica comprende: le CCT (Clean Coal Technologies), che consentono di utilizzare il Carbone senza particolari inconvenienti di natura ambientale, mentre con la CCS (Carbon Capture & Storage) è possibile anche rispondere all’eventuale necessità di ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera.
Come noto, la Commissione Europea ha posto le tecniche di CCS tra le iniziative da attuare per rispondere alla Direttiva di riduzione delle emissioni in atmosfera, ma è evidente che applicare tali tecniche CCS solo all’utilizzo del Carbone NON risolverebbe affatto il problema delle emissioni, in quanto la realtà italiana nel 2010 evidenzia che 2/3 delle emissioni di CO2 dalla generazione elettrica siano dovute all’utilizzo degli idrocarburi: 56% al Gas Metano e 7% all’Olio Combustibile, essendo il contributo emissivo del Carbone solo del 35%, mentre un 2% è dovuto ad altri combustibili.
Come sappiamo, le emissioni di CO2 dalle Biomasse non sono considerate, anche se sarebbe forse opportuna una riflessione, sul breve-medio periodo (se questa è la preoccupazione), perchè la combustione di un albero che ha impiegato 20-30 anni mediamente per crescere, rilascia immediatamente in atmosfera tutta la CO2 che lo stesso ha assorbito per la sua crescita e ce ne vorranno ancora 20-30 per farlo ricrescere tal quale.
Inoltre, applicare la contabilizzazione delle emissioni di CO2 alle emissioni di sola “combustione” (post-combustion), come prevede la Direttiva ETS-Ue, e trascurando invece totalmente le emissioni dovute alla “estrazione/produzione” (pre-combustion) dei combustibili fossili – come di fatto avviene con il Protocollo di Kyoto e come abitualmente considerato da tutte le Istituzioni internazionali (IPCC, Ue e Paesi emettitori) – si determina una chiara discriminazione che nulla ha a che fare con il supposto concetto del contrasto ai “Cambiamenti Climatici”, generando invece un’evidente ed impropria discriminazione ed un’alterazione dei principi di “libera concorrenza” (peraltro non consentita dalle stesse leggi fondanti della Ue) tra: Paesi – Settori – Prodotti, all’interno della stessa Comunità europea.
Per dare un esempio di cosa significhi quanto sopra citato ed un parametro di valutazione globale, basterebbe andare ad osservare cosa avviene in fase di estrazione del Gas Metano nei vari Paesi produttori, dove risulta che: “Almeno 1/3 delle riserve mondiali di Gas Naturale presentano in giacimento alti livelli di anidride carbonica (CO2)”, che l’industria del settore da decenni provvede a separare dal flusso dei Gas in estrazione per liberarla in atmosfera (vented), senza che questa sia conteggiata ne attribuita ad alcuno (chiedetelo ad IPCC)!
Quindi, la strategia necessaria per l’Italia, per :
non può non considerare l’urgente necessità di diversificare ed equilibrare il proprio “Mix delle Fonti”, con:
Perché il Carbone è:
Parliamone quindi, senza pregiudizi e fuorvianti ideologie, nell’interesse di tutti.
Rinaldo Sorgenti
(Vice Presidente di Assorcaboni)займ на карту мгновенно круглосуточно без отказа с плохой ки на карту