L’ucraina Naftogaz sempre più nei guai

Naftogaz UkrainyIl monopolista ucraino del gas, Naftogaz, è sempre più nei guai. Dopo il lodo di febbraio della Corte arbitrale di Stoccolam, vinto dal trader italiano Iugas, Naftogaz dovrà mettere a disposizione 13,1 miliardi di metri cubi di gas ai prezzi del 2003 (110 dollari al metro cubo).

Naftogaz non dispone di quel gas – al momento dell’accordo, l’azienda ucraina si riforniva di gas turkmeno a 70 dollari al metro cubo (chi si ricorda di Itera?) – e dovrà comprarlo da Gazprom, che attualmente vende il gas all’Ucraina a oltre 400 dollari a metro cubo. Totale: un passivo di 4 miliardi di dollari per Naftogaz, che l’azienda ucraina difficilmente potrà permettersi. E che peraltro non ha nessuna intenzione di pagare.

E non finisce qui. Perché nel frattempo Gazprom ha avanzato una richiesta di indennizzo per 7 miliardi di dollari per mancati ritiri da parte di Naftogaz, nonostante gli impegni contrattuali. Se anche Gazprom si vedrà dare ragione dai giudici, Naftogaz si troverà con nuovi debiti che non potrà onorare senza cedere all’estero i propri assets.

Naftogaz non intende rispettare l’arbitrato finché un tribunale ucraino non lo ratificherà, contando sulla natura “politica” di un’eventuale sentenza.

Mentre alcuni commentatori indicano un’ipotetica manovra a tenaglia ispirata dai russi, il dato che appare più evidente è l’assenza in Ucraina di un’autorità pubblica in grado di far rispettare gli accordi in modo terzo.

Ridurre il potere di ricatto sulle forniture energetiche dirette in UE di un Paese con queste caratteriste non può che essere una priorità di sicurezza energetica per i Paesi europei. Allo stesso tempo, appaiono ancora una volta evidenti gli enormi limiti che l’UE incontra nel proiettare la propria azione perfino su Paesi tanto vicini e tanto importanti come l’Ucraina.

I contratti di Gazprom non li paghiamo noi

I contratti Gazprom li paghiamo noiIl gas naturale riesce ogni tanto ad attrarre interesse anche al di fuori degli addetti ai lavori (soprattutto quando si parla di bollette).

Massimo Riva paventa sul blog dell”Espresso il rischio che siano i consumatori italiani a pagare i costi dei contratti di lungo periodo con clausola ToP che Eni ha in essere con Gazprom. Il riferimento è al meccanismo di capacity payment invocato da Eni e in parte proposto dall’Autorità a novembre come assicurazione di prezzo, che però l’Autorità stessa ha poi rimosso nella proposta di febbraio.

Giuste le preoccupazioni di Riva (e di Passera), ma fortunatamente pericolo scampato. Anzi: l’Autorità sembra aver preso atto che ogni concessione fatta a Eni in materia di alleggerimento degli oneri derivanti dai contratti indicizzati al petrolio sottoscritti con Gazprom andrebbe, al momento della rinegoziazione, immediatamente incamerata dall’azienda russa. Senza evidenti benefici per Eni: essendo le rinegoziazioni relative all’eccesso di onerosità delle forniture russe, ogni risparmio si tradurrebbe in un mancato sconto.

Un pericolo più evidente è invece quello che nelle analisi si diffonda la convinzione che i profondi cambiamenti avvenuti nel mercato statunitense si trasmettano al di qua dell’Atlantico. Tramotanta (al momento) l’ipotesi di una rivoluzione del non convenzionale in Europa, uno scenario da più parti ipotizzato è quello di un mercato europeo inondato di economicissimo GNL americano.

Due problemi spiccano: uno, i volumi che gli operatori statunitensi riuscirebbero a esportare è quantomeno dubbio e sicuramente limitato da pressioni politiche. Due: avrebbe economicamente molto senso dirigere flussi ingenti di esportazioni (con i relativi investimenti infrastrutturali) verso un mercato stagnante e con un eccesso di capacità di importazione? È lecito dubitarne.

Più che il GNL statunitense, ad allarmare i tradizionali fornitori europei – quelli sì obbligati ad espotare in UE – è piuttosto l’incapacità dei decisori politici di far ripartire l’economia europea. Come dar loro torto?

 

Che fine ha fatto la sicurezza energetica

Che fine ha fatto la sicurezza energeticaSegnalo un puntuale ISPI Commentary di Matteo Villa dal titolo Che fine ha fatto la sicurezza energetica.

Il contributo, nel mettere in evidenza la ciclicità del tema nel dibattito pubblico nazionale, ricostruisce brevemente lo stato dei nuovi progetti infrastrutturali per l’importazione di gas nel nostro Paese. Particolarmente condivisibile il non comune richiamo al fatto che la sicurezza energetica sia un costante compromesso tra interesse nazionale e fattibilità economica.

Non mi trovo invece d’accordo con la valutazione del peso dei contratti di lungo periodo Eni-Gazprom sui rapporti Italia-Russia: rotto il monopolio di Eni sul mercato italiano, non è più possibile scaricare il costo dell’approvvigionamento internazionale sul consumatore interno. Proprio per questo Gazprom è costretta a continue concessioni a Eni (analogamente a quanto accade con gli altri grandi operatori europei), denunciando una posizione di relativa debolezza.

CDP e il settore reti del gas

Il mercato del gas naturale in Italia: lo sviluppo delle infrastrutture nel contesto europeoSegnalo un interessantissimo studio di settore della Cassa Depositi e Prestiti dal titolo Il mercato del gas naturale in Italia: lo sviluppo delle infrastrutture nel contesto europeo.

La CDP, controllata al 70% dal Ministero dell’economia e delle finanze, controlla a sua volta il 30% (meno un’azione) del capitale votante di Snam Rete Gas, rappresentandone l’azionista di riferimento. Il consolidamento delle attività in Italia e l’espazione a livello europeo del gestore di rete italiano lasciano intendere che CDP giocherà un ruolo molto rilevante nello sviluppo della rete europea.

Chi ha ucciso le rinnovabili?

Segnalo un paper di Assoelettrica dal titolo Chi ha ucciso le rinnovabili?Chi ha ucciso le rinnovabili?, dedicato ai tanti (e costosi) vizi del mondo delle rinnovabili italiane.

La crisi apparentemente senza fine del termoelettrico spinge alla resa dei conti con le rinnovabili (solare in primis), che stanno beneficiando di un sistema di incentivazioni che (eufemisticamente) potremmo definire distorsivo.

Lettura interessante – già ripresa la settimana scorsa da Derrick – ricca di dati e foriera di polemiche.

Sicurezza energetica, il cambio di paradigma

La SEN - Il Governo ricomincia a fare politica energeticaIn poco più di dieci anni, l’appovvigionamento energetico italiano ed europeo ha cambiato radicalmente faccia. La spinta politica verso nuove tecnologie per le rinnovabili ha ristrutturato l’offerta, soprattutto nel settore elettrico, mentre le liberalizzazioni imposte a livello europeo hanno rotto il ruolo di monopolio degli operatori nazionali, spesso ancora oggi controllati o partecipati dai rispettivi governi.

Si è trattato di un processo ampiamente annunciato, che però ha portato a un cambiamento di paradigma di cui è consapevole solo una parte dei decisori politici e che è rimasto quantomeno marginale nel dibattito pubblico: i campioni nazionali semi-pubblici non sono più gli strumenti per la tutela della sicurezza energetica.

Eni e, in misura minore, Enel hanno per decenni rappresentato lo strumento di politica energetica nazionale, scritta sotto forma di strategie aziendali. È stato un processo efficace, ma ha avuto costi notevoli: le inevitabili ingerenze politiche nella gestione delle aziende hanno prodotto generato ampi sprechi e inefficienze.

Ora però i mercati sono stati aperti alla concorrenza e il capitale pubblico in queste aziende è sceso: il risultato è stata la loro normalizzazione. Eni e Enel hanno oggi per la sicurezza energetica del consumatore italiano lo stesso ruolo della francese GDF o della tedesca E.On.

A ribadirlo è stato l’ad di Eni, Paolo Scaroni: «gli incumbent europei esercitavano, ancorchéindirettamente, un ruolo di garanti [della] sicurezza [energetica], ma ora le nuove regole del gioco non consentono piu’ alle imprese europee di svolgere questo ruolo, che ritorna ad essere un tema di carattere sovrano, di spettanza dei Governi e dell’Unione Europea».

Ora tocca ai governi europei fare un ulteriore passo avanti: coordinare davvero e in modo profondo le proprie strategie energetiche, definendo strumenti e azioni che abbiano la stessa dimensione del mercato su cui operano le aziende e si servono i consumatori. Quella europea.

Uno dei passaggi chiave per arrivare compiutamente a una strategia europea è quello dell’eliminazione delle partecipazioni pubbliche negli operatori, attuata in modo simmetrico da tutti i governi europei. Si tratterà di un processo lungo, ma sarà inevitabile per creare un mercato davvero concorrenziale, in cui gli Stati-azionisti e gli Stati-regolatori non vivanno più un instabile conflitto di interessi, lasciando i governi liberi di farsi direttamente responsabili delle misure necessarie a garantire la sicurezza energetica per i propri cittadini.