Politica energetica: interessa a qualcuno?

Mancano pochi giorni alle elezioni che sceglieranno i nostri rappresentati per il Parlamento. Nelle settimana scorse i temi della campagna elettorale hanno infiammato il dibattito pubblico e occupato ampio spazio su radio e televisioni. Si è parlato molto della credibilità dei candidati, di tangenti e, sopprattutto, di fiscalità. Poco o nulla, però, si è detto riguardo al tema della politica energetica e delle politiche industriali più in generale.

E se anche qualcuno ne ha parlato, quasi nulla è trapelato nei discorsi riportati dai media. Vi viene in mente che cosa promettono il PD o il PdL in materia?

Questa latitanza della politica, ancora più evidente dopo il vivace dibattito emerso in autunno intorno al documento di consultazione sulla SEN, non è passata inosservata e diverse associazioni culturali e di categoria hanno manifestato la loro delusione.

Tra coloro che chiedono un segnale forte alla politica vi è il Comitato “Nucleare e Ragione”, che domanda la convocazione immediata di una Conferenza Nazionale sull’Energia. Secondo i membri del comitato e di coloro che hanno aderito all’iniziativa, la Conferenza dovrebbe riunire esponenti delle istituzioni, degli enti locali, del mondo accademico e delle imprese per definire in modo autorevole, competente e trasparente quali sono le scelte migliori per l’Italia in ambito energetico.

Una volta conclusasi, gli atti della Conferenza dovrebbero essere diffusi presso il pubblico e dovrebbero costituire la base per una Costituzione Energetica e una Piano Nazionale Energetico, che il prossimo Governo sarebbe tenuto ad adottare.

Si tratta di un’iniziativa lodovole, soprattutto per il documento annesso, che raccoglie in 50 pagine le principali informazioni necessarie ad informare un dibattito consapevole.

Dalla sua lettura traspare, ancora una volta, la sfiducia verso una politica che non riesce a scegliere a causa di logiche e tempistiche che impediscono di guardare ai problemi in modo oggettivo e lungimirante.

Speriamo che a furia di ripeterlo qualcuno dei nostri governanti lo capisca.

Smantellare i take-or-pay

RIE - EnergiaSergei Komlev, dirigente di Gazprom Export specializzato in prezzi e contratti, è da alcuni mesi impegnato in una vera e propria “offensiva teorica” votata a difendere lo status quo dei contratti di lungo periodo indicizzati al petrolio con clausola take-or-pay. Segnalo, per chi volesse approfondire, il paper Pricing the “Invisible” Commodity.

Come riportato oggi dalla Staffetta, in Italia l’ultimo numero di Energia ospita un articolo di Komlev. Sintetizzando molto, l’argomentazione centrale è che gli attuali prezzi spot agli hub europei sono frutto di una dinamica marginale, ossia basata sui volumi residuali rispetto alle forniture take-or-pay e che quindi non è in realtà possibile sostenere che i prezzi agli hub sono determinati da dinamiche di domanda e offerta autonome.

La conseguenza è che un meccanismo basato sempre più su prezzi agli hubs che si formano in modo ibrido sia insostenibile, tanto da portare al progressivo smantellamento dei contratti di lungo periodo.

Komlev vede nel fatto che gli hubs non trattino tutta la domanda e tutta l’offerta dei mercati europei una debolezza insanabile, che li rende di fatto ancora strettamente legati ai prezzi dei contratti di lungo periodo (assumendo – senza dimostrare – che questo sarebbe un male per i consumatori europei).

Komlev fa bene il suo lavoro, ma non convince. Il punto è che cercando di argomentare sulla dinamica di mercato, omette di affrontare il punto chiave: l’indicizzazione al petrolio non ha più ragion d’essere e distorce irrimediabilmente i fondamentali del mercato. Il fatto che l’inerzia contrattuale – nonostante i tanti arbitrati – attribuisca ancora un ruolo a questa consuetudine commerciale non è una buona ragione per mantenerla, se non per chi vende.

Qui subentra il secondo punto: il mercato è lunghissimo e la Russia si trova con un potenziale di esportazione completamente orientato verso il mercato europeo, dove la domanda langue e continuerà a languire. A correre rischi sono soprattutto gli esportatori, che si trovano a competere per vedere e che dall’indicizzazione lucrano margini che la domanda reale non giustificherebbe.

Per chiudere, un’ultima nota: superare le attuali formule di indicizzazione non significherebbe in alcun modo che i contratti di lungo periodo debbano necessariamente essere abbandonati, ma solo che sarebbe il mercato a prezzare questa soluzione, in base alla domanda dei clienti. Magari evitando di imporre ai consumatori finali strani meccanismi di assicurazione dalla dubbia utilità.

Revisione tariffe del gas: centinaia di milioni in gioco

AEEG - 13 novembre 2012 - 471/2012/R/gas In novembre l’Autorità aveva annnunciato l’intenzione di procedere a una revisione delle modalità di calcolo delle condizioni economiche per il servizio di tutela, che copre un terzo del mercato finale italiano (circa 18 Gmc all’anno) e che fa da riferimento anche per le dinamiche di prezzo sul mercato libero.

Attualmente, la tariffa della componente commercializzazione all’ingrosso (CCI, nel gergo dell’Autorità) – ossia il costo della materia prima in bolletta – è fissata con una formula che simula le quotazioni dei contratti di lungo periodo (95% greggio, gasolio e olio combustibile; 5% spot), quelli detenuti dai grandi operatori nazionali.

Tutto bene? Non troppo. Perché l’impianto dei contratti di lungo periodo (solitamente con clausola take-or-pay) è vecchio di decenni e non risponde più alle condizioni reali del mercato (le economie pianificate non esistono più, bruciare olio combustibile per generare grandi quantitativi di elettricità non è praticabile e i monopoli nazionali sono vietati dalla legilazione europea, per citarne solo alcuni). Tant’è vero che, grazie all’eccesso di offerta, i prezzi sui mercati all’ingrosso sono sistematicamente più bassi dei prezzi dei contratti di lungo periodo.

Chi ci rimette? I clienti finali, soprattutto. Perché i grandi operatori, per limitare l’impatto economico, comprano gas a prezzi spot e lo rivendono a prezzo regolato. L’Autorità riconosce apertamente che c’è un problema: «una regolazione divenuta obsoleta che comporta, date le condizioni e l’evoluzione del mercato, l’insorgere di rendite improprie a danno dei clienti finali».

Urgono quindi, secondo l’Autorità, modifiche alle modalità di calcolo delle condizioni economiche, per «trasferire al consumatore i benefici derivanti dallo sviluppo concorrenziale del mercato all’ingrosso». Per i dettagli, rimando al documento, che prevede sia un “allegerimento” della CCI (legandola maggiormente ai prezzi spot), sia un meccanismo di assicurazione contro le oscillazioni delle quotazioni spot (che remunererebbe comunque chi ha in portafoglio i contratti di lungo periodo).

Il risultato? Fino a -7,44% in bolletta, secondo le stime dell’Autorità. Un bel trasferimento di benefici, dai grandi grandi operatori a favore dei consumatori finali.

Una rapida stima dà conto delle dimensioni della questione: proiettando su base annua le tariffe attualmente in vigore per il cliente domestico tipo, un consumo di 18 Gmc vale indicativamente 15,5 miliardi di euro. La riduzione varrebbe 1,2 miliardi di euro all’anno.

Si tratterebbe di una riduzione netta di 800 milioni di euro all’anno per gli operatori (variamente distribuita a seconda dei portafogli e delle modalità di assicurazione introdotte, ma comunque in buona parte Eni e Edison) e 400 milioni all’anno in meno di pressione fiscale.

Gli operatori si stanno muovento attivamente per mettere i ammorbidire le proposte dell’Autorità. Come se questo non bastasse, il rischio è che venga meno anche l’appoggio “politico” all’Autorità (che formalmente resta indipendente) proprio a causa dell’impatto economico della misura, che ridurrebbe il gettito e sarebbe troppo favorevole ai consumatori.

Un duro compito attende l’Autorità: non si può che fare il tifo per lei.

Passo avanti del Nabucco

oint declaration of Nabucco Shareholders, NIC, Potencial Investors and Shah Deniz Consortium dated 10 January 2013I soci del consorzio di Shah Deniz (BP, Statoil, Socar, Total, Lukoil, Nico, Tpao) hanno raggiunto un accordo con il consorzio Nabucco, in base al quale co-finanzieranno i costi di sviluppo del gasdotto fino alla decisione finale sul tracciato, attesa nel corso del 2013. In cambio, i membri di Shah Deniz hanno acquisito un’opzione per rilevare il 50% delle quote del Nabucco, in proporzione alla quota nel consorzio di produzione.

Si tratta di un accordo che non copre la realizzazione vera e propria del gasdotto e lascia aperta la decisione finale. Un accordo analogo era stato in infatti firmato ad agosto 2012 con il consorzio Tap.

Un elemento di possibile criticità dell’accordo di ieri è che, in caso di realizzazione del Nabucco e di esercizio dell’opzione, il 5% del Nabucco passerà agli iraniani di Nico, che possiede il 10% di Shah Deniz. Nico (Naftiran Intertrade Company), creata nell’isola di Jersey ma che da un decennio ha trasferito le proprie attività in Svizzera, è una società controllata dalla National Iranian Oil Company, a sua volta di proprietà del Ministero del petrolio della Repubblica Islamica.

Se il sistema di controllate e sussidiare permette di rendere l’operazione legale, restano forti dubbi sull’opportunità politica dell’operazione, in un momento in cui agli operatori petroliferi sono imposti costi e limiti operativi a causa delle sanzioni europee all’Iran.

Gas, i fatti del 2012

Gas, 2012 in pillole - Gionata Picchio - AgiEnergiaGionata Picchio propone su AgiEnergia una sintetica ma completa panoramica dei principali fatti del mondo del gas naturale italiano nel 2012.

Tra le tendenze da ricordare, il calo dei consumi (nonostante il grande freddo di febbraio), i passi avanti del mercato (scorporo di Snam e assegnazione quotidiana della capacità TAP) e Gazprom protagonista su più fronti (Nord Stream, South Stream, rinegoziazioni, indagini della Commissione).

UP, preconsutivo 2012

UP - Preconsutivo 2012L’Unione Petrolifera ha pubblicato il preconsutivo 2012, con l’analisi dello scenario mondiale e le previsioni per il 2013.

Per quanto riguarda l’Italia, spiccano i consumi energetici in calo (170,6 Mtep, -4,3%) e lo storico quasi sorpasso del gas (60,9 Mtep) sul petrolio (61,8 Mtep), dovuto al crollo dei consumi di quest’ultimo (-10,6%), a causa della crisi e della crescente pressione fiscale.

Per quanto riguarda la fattura energetica (import-export), la stima per il 2012 è di 65 miliardi (+3%), pari al 4,1% del pil. Per il 2013, l’aumento previsto è di altri 3 miliardi di euro.

Lettura caldamente consigliata (almeno le tavole statistiche) per chi voglia farsi un’idea delle tendenze in atto.