In questi giorni ha fatto molto clamore la notizia che la famiglia regnante saudita potrebbe vendere una parte della compagnie petrolifera di stato Saudi Aramco, il più grande produttore al mondo di petrolio greggio.
Si tratta senza dubbio di una novità importante, che segnala la necessità, percepita almeno da una parte della famiglia regnante, di avviare profonde riforme nel paese al fine di affrontare le sfide interne ed esterne, rese oggi più urgenti dal calo delle quotazioni petrolifere.
Sull’argomento, e sulle sue cause/implicazioni politiche, segnalo un articolo apparso ieri su le Formiche, al cui interno mi è stato chiesto di esprimere la mia opinione. Come si può leggere, ritengo che il senso delle dichiarazioni del principe saudita intervistato dall’Economist sia la volontà di utilizzare la difficile congiuntura economica per avviare un processo di riforma della società e dell’economia saudita, che porti a ridimensionare il ruolo del petrolio e dello stato, promuovendo invece l’iniziativa privata e l’apertura agli investitori esteri.
Si tratta a ben vedere di un percorso difficile, che non sappiamo quanto sia condiviso nel governo saudita, ma che sembra necessario se si è convinti che il sistema attuale non sia economicamente sostenibile nel lungo periodo. In questo senso, l’idea di vendere una parte di Saudi Aramco potrebbe confermare la convinzione da parte degli arabi che i prezzi del greggio resteranno bassi per un periodo piuttosto lungo (quanto lungo è difficile dirlo ovviamente) e che quindi si dovrà ridurre il deficit con nuove entrate/tagli della spesa e promuovendo l’investimento privato e la diversificazione economica.
Insomma, il new normal richiede adattamento, non solo da parte dei produttori indipendenti americani, ma anche da parte dell’Arabia (non più tanto) felix.