Il significato della crisi ucraina per il mercato del gas

OIES - What the Ukrainian crisis means for gas marketsSegnalo un ottimo e tempestivo paper dell’OIES dal titolo What the Ukrainian crisis means for gas markets. Il lavoro ricostruisce il ruolo dell’Ucraina quale transito per il gas russo diretto in Europa, i rapporti tra Kiev e Mosca e l’impatto di una possibile crisi.

L’ipotesi che un’interruzione possa essere deliberatamente causata da Mosca è esclusa. Tuttavia se, come nel 2009, Naftogaz continuasse a non pagare le forniture e Gazprom dovesse di conseguenza interrompere le forniture per il mercato interno ucraino, Naftogaz potrebbe deviare i flussi diretti in Europa verso i propri clienti, spingendo infine i russi a bloccare del tutto le esportazioni.

L’impatto sarebbe comunque limitato ai Paesi dell’Europa orientale e con conseguenze minori rispetto a quelle già modeste di cinque anni fa, grazie al miglioramento delle interconnessioni all’interno dell’UE.

Lo scenario di una nuova disputa tra Gazprom e Naftogaz secondo gli autori è addirittura probabile. Quest’ultima ha infatti un debito di 2 miliardi di dollari (dopo che 3,3 miliardi sono stati cancellati a Febbraio), destinato a crescere a causa della strutturale carenza di liquidità e alle attività gestite in perdita.

La crisi incombente sembra essere un invito ad accelerare la costruzione di South Stream, che nonostante i costi proibitivi sta in questi mesi mostrando la validità del suo obiettivo strategico.

ZOOM - Gasdotti di transito verso l'Europa (© Jonathan Stern 2014)Il nuovo gasdotto da 63 Gmc/a poterebbe infatti la capacità di esportazione dalla Russia in Europa (Ucraina esclusa) a 165 Gcm/a, corrispondenti a poco più degli attuali livelli complessivi di esportazione in Europa (UE+Turchia e Balcani non UE).

South Stream priverebbe così Kiev di ogni potere di ricatto nei confronti sia di Gazprom, sia dei Paesi europei. Secondo i dati di Sberbank riportati nello studio, nel 2013 Gazprom ha esportato in UE 86 Gmc attraverso l’Ucraina, per un controvalore superiore a 33 miliardi di dollari: un forte incentivo per produttori e esportatori ad aumentare l’affidabilità dei flussi.

Difficile però al momento dire se dal lato europeo prevarrà la razionalità o se la logica dello scontro ideologico frenerà lo sviluppo infrastrutturale e la sicurezza energetica europea.

ps: per correttezza, segnalo che a pagina due del report l’unità di misura è milioni di metri cubi (Mcm) e non migliaia di metri cubi, come erroneamente indicato.

Geopolitica e relazioni internazionali: il ruolo dell’energia

Geopolitica e relazioni internazionali: il ruolo dell’energiaSono disponibili qui le slides relative alla lezione Geopolitica e relazioni internazionali: il ruolo dell’energia, tenuta all’ISPI l’8 Marzo 2014, nell’ambito del Professional Diploma per operatori economici “Obiettivo Russia”.

Rispetto alla versione proiettata in aula sono stati rimossi i refusi, di cui mi scuso con gli studenti.

Anche l’Economist a volte sbaglia

 Money talks: March 3rd 2014 - Sabre-rattling and stocksIn questi giorni sono apparsi sui media numerosi commenti sulle possibili implicazioni della crisi russo-ucraina. Come spesso accade, tuttavia, non sempre si parla a proposito o in maniera obiettiva.

Anche l’Economist, fonte di solito molto affidabile, ha espresso una posizione quanto meno non precisa nella rubrica Money Talks.

Nel video uno dei giornalisti sottolinea come l’Europa sia troppo dipendente dal gas russo (25% dei consumi) e come la gran parte di questo passi attraverso l’Ucraina (80%). Conclusione: nel medio-breve termine l’UE è minacciata dalla crisi politica tra Russia e Ucraina e deve intervenire, promuovendo tra le altre cose il ricorso allo shale gas e incoraggiando le recenti aperture dell’Amministrazione USA sull’esportazione di gas nord-americano.

Ora, che l’80% del gas russo diretto in Europa passi dall’Ucraina mi sembra quanto meno un’affermazione capziosa: può anche essere, ma con il Nord Stream e il Yamal Europa disponibili, solo 100 Gmc di capacità di esportazione annua su un totale di circa 180 Gmc passano in suolo ucraino.

Se ci aggiungete il fatto che i consumi europei sono in calo per la crisi economica (i gasdotti stanno lavorando a capacità ridotta) e che la primavera è alle porte, è possibile dire che ad essere minacciati sono solo alcuni Paesi membri dell’UE, come la Slovacchia o la Bulgaria, mentre per gli altri i pericoli sono molto modesti.

Che poi la decisione dell’amministrazione USA di autorizzare la realizzazione di qualche impianto di rigassificazione possa aiutare l’Europa nel medio termine mi sembra fantasia: prima di uno o due anni nessuno degli impianti sarà pronto e anche quando lo sarà rappresenterà solo una piccolo porzione dell’offerta mondiale di GNL. Gli USA non saranno un esportatore significativo di gas prima del 2020 e, probabilmente, non lo saranno mai.

Lo stesso dicasi per le risorse di shale europee: anche se tutti i governi europei dessero oggi il via libera al suo sfruttamento, sarebbero necessari 5-10 anni per avere una produzione significativa. Ci vuole del tempo per creare da zero un’industria.

Come più volte detto su questo blog, bisogna stare attenti quando si leggono notizie sui temi energetici: spesso chi scrivi non è ben informato o, peggio, dice solo delle mezze verità per poter sostenere la sua posizione.

La crisi ucraina e l’approvvigionamento italiano

La crisi ucraina e l'approggionamento europeo del gasSono disponibili qui alcune slides relative al sistema infrastrutturale in Europa orientale e all’impatto della crisi ucraina sui consumatori europei di gas russo.

Il rischio che le tensioni tra Ucraina e Russia portino a un’interruzione delle forniture europee verso l’UE è attualmente basso. Inoltre, solo pochi Paesi in Europa orientale dipedono in misura determinante dal gas naturale russo in transito in Ucraina e sarebbero dunque quelli più colpiti. Si tratta di Cechia, Slovacchia, Bulgaria e Ungheria.

Nel caso dell’Italia, sebbene tutto il gas russo in arrivo transiti attraverso la rete ucraina, non ci sono rischi significativi, perché le altre infrastrutture sono in grado di far fronte alle domanda. Domanda che peraltro è strutturalmente bassa a causa della crisi e stagionalmente bassa a causa della primavera in arrivo.

 

La crisi ucraina: quali conseguenze per l’Italia?

Facile.it - La crisi ucraina: quali conseguenze per l'Italia? La Russia è il principale fornitore di gas naturale per le famiglie e le imprese italiane. Nel solo 2013, le importazioni in arrivo al Tarvisio sono state di quasi 30 miliardi di metri cubi, pari al 43% del totale dei consumi nazionali.

Questa situazione ha fatto però suonare negli ultimi mesi qualche campanello di allarme. Tutto il gas in arrivo in Italia dalla Russia transita infatti dall’Ucraina e si teme che l’instabilità politica nel Paese possa avere effetti imprevedibili sulla gestione dei gasdotti.

In particolare, un’Ucraina sempre più indebitata potrebbe cercare di ricattare la Russia per avere sconti sulle proprie forniture, minacciando di chiudere i rubinetti verso l’Europa.

La situazione è complessa, ma al momento non ci sono motivi di grave preoccupazione per l’Italia.

[continua su Facile.it]

L’impatto del non convenzionale

HCSS - The Geopolitics of Shale GasSegnalo anche io (ultimamente arrivo sempre secondo…) uno studio molto interessante, The geopolitics of shale gas, preparato da The Hague Centre for Strategic Studies e TNO.

Il lavoro ha un respiro ampio e cerca di analizzare in modo rigoroso il possibile l’impatto del non convenzionale a livello regionale e globale.

Gli autori usano un approccio basato sulla scenaristica e cercano di inviduare possibili evoluzioni dei mercati energetici, dedicando particolare attenzione alla stabilità politica dei paesi produttori.

Tra le conclusioni più rilevanti, la possibilità che il gas sostituisca quote crescenti di consumi petroliferi, creando una pressione ribassista sui prezzi del petrolio. Con ovvie conseguenze negative per i produttori più dipendenti dalle esportazioni petrolifere e più esposti alle oscillazioni di prezzo.

In prospettiva europea, lo studio fa suonare un chiaro campanello d’allarme su due paesi produttori molto vicini all’Italia: la Russia e l’Algeria. Tutti e due sono infatti molto dipendendi dal controvalore delle proprie esportazioni energetiche e presentano una situazione politica e sociale (soprattutto l’Algeria) potenzialmente esplosiva.