Per chi se lo fosse perso, segnalo un’interessante serie di grafici proposta ieri dal Financial Times sulla crisi russa.
Sempre da FT, segnalo anche la bella analisi Winners and losers of oil price plunge (in accesso libero).
Per chi se lo fosse perso, segnalo un’interessante serie di grafici proposta ieri dal Financial Times sulla crisi russa.
Sempre da FT, segnalo anche la bella analisi Winners and losers of oil price plunge (in accesso libero).
A esprimersi è stato Putin in persona: South Stream non si farà, almeno per il momento. Nonostante le aziende russe e i committenti internazionali fossero già impegnati nelle attività preliminari della costruzione, l’annuncio è stato netto e lascia poco spazio alle interpretazioni.
South Stream diventa la prima vittima eccellente della crisi dei prezzi del greggio. La contrazione delle quotazioni sta già costando alcune decine di miliardi di dollari all’anno alla Russia e mancano indizi affidabili su quando i prezzi torneranno a crescere. Per le aziende e per il governo russi è dunque il momento di tagliare le spese inutili, a cominciare proprio dal gasdotto sotto il Mar Nero.
Negli ultimi mesi, i dubbi erano diventati sempre più insistenti. A pesare, oltre agli effetti della crisi del greggio, altri tre fattori: le sanzioni internazionali, che hanno compromesso in parte le relazioni economiche. Più importante ancora, e parzialmente sovrapposta alla prima, è stata la guerra di logoramento della Commissione, che da tempo si è attestata su posizioni antirusse e che ha fatto della riduzione dei rapporti con la Russia un mantra.
Infine, l’elemento che forse ha pesato di più è la debolezza del mercato europeo, di cui si fanno fatica a immaginare le prospettive. Sebbene la IEA preveda un aumento dei consumi europei a 518 Gmc entro il 2030, la situazione economica del continente e le incertezze legate alle politiche ambientali rendono particolarmente rischioso investire in nuova capacità di esportazione verso l’UE. Soprattutto se l’alternativa è la Cina, dove la nuova domanda non manca e i capitali da investire nemmeno.
L’annuncio di Putin è arrivato durante una visita ad Ankara. Ed è stato seguito dall’annuncio che un gasdotto da 63 Gmc sotto il Mar Nero si farà comunque, ma con approdo in Turchia. Dove peraltro già arriva il Blue Stream. Secondo le dichiarazioni, sarebbere già stato firmato un accordo preliminare per destinare 14 Gmc al mercato turco – quello sì in forte crescita – e il resto ai mercati europei.
Si tratta probabilmente di una mossa mediatica per mascherare la retromarcia russa, ma se fosse realizzato priverebbe la strategia europea del Corridoio meridionale del gas della sua funzione anti-russa. La realizzazione di TAP-TANAP e quella del nuovo gasdotto russo saturerebbero ampiamente la nuova domanda di gas per i prossimi decenni, quantomeno su quella direttrice.
Resta da vedere quali saranno le prossime mosse russe. Di certo, il grande perdente di oggi è un’azienda italiana: Saipem, che avrebbe dovuto realizzare la prima linea e parte della seconda, per un totale di 2,4 miliardi di euro di commesse. Certo, potrebbe in teoria prendere l’eventuale nuova commessa russa, ma intanto oggi il titolo in borsa è crollato.
La saga di South Stream continua. Stretto fra le sanzioni americane ed europee – che però non hanno colpito direttamente Gazprom – e la traballante situazione ucraina, il progetto di gasdotto russo-europeo è in un momento particolarmente difficile. Per tacere dell’opposizione della Commissione Europea.
A pesare davvero è poi la debolezza della domanda europea, che continua a calare e che non si sa se e quanto tornerà a crescere. Certo, la produzione interna europea che cala, ma a che ritmi e con quali sostituti resta una questione aperta.
Eppure a guardare le operazioni, il sospetto che Gazprom voglia andare avanti nonostante tutto viene. Nei mesi scorsi nel porto di Burgas sono stati consegnati i primi tubi per la sezione offshore, probabilmente quelli prodotti da Severstal. Gli altri tubi sono stati commissionati alla tedesca Europipe e alla russa OMK.
Un altro indizio che qualcosa si stia davvero muovendo arriva dalle navi Saipem, che poseranno la prima della quattro condotte. Le operazioni di posa dovrebbero avvenire entro il terzo trimestre del 2015, affinché il gasdotto sia operativo entro la fine dell’anno. Nelle operazioni sono coinvolte la Castoro Sei, che ha in passato ha posato una parte di Nord Stream, e Saipem 7000, che in passato ha posato una parte di Blue Stream.
Ed effettivamente, se si guarda al posizionamento delle due navi coinvolte, si nota che nelle ultime settimane sono rimaste stabilmente in acque bulgare. In particolare, Castoro Sei si trova ormeggiata a un molo del porto di Burgas, mentre Saipem 7000 si trova nelle acque della Baia di Burgas.
Il fatto che le navi Saipem si trovino nelle acque bulgare e che abbiano con ogni probabilità effettuato le operazioni di carico dei tubi non vuol dire necessariamente che il gasdotto si farà, si farà entro il 2015 e che sarà operativo e in grado di veicolare parte delle esportazioni russe verso l’UE. Eppure è un chiaro segnale che qualcosa si sta muovendo.
Spesso rileggersi i giornali del passato è un esercizio molto utile per capire le dinamiche del presente. Tra i tanti precedenti storici, le sanzioni imposte quest’anno dagli Stati Uniti alla Russia per via delle vicende ucraine ne hanno uno particolarmente interessante: le sanzioni imposte all’Unione Sovietica da Reagan nel 1981, in risposta all’introduzione della legge marziale in Polonia.
Le sanzioni colpivano in primo luogo l’esportazione di tecnologia necessaria all’ampliamento della rete di gasdotti diretti in Europa occidentale. E molta della retorica di allora sulla dipendenza europea dall’impero del male sembra riecheggiare nei giornali di oggi.
Per fare un viaggio nel tempo, suggerisco la lettura di questo articolo del New York Times del 13 Novembre 1982, il giorno in cui le sanzioni all’Unione Sovietica furono ritirate. L’articolo si chiude con questo istruttivo passaggio:
Martin S. Feldstein, the chairman of the President’s Council of Economic Advisers, said the sanctions had ”worked temporarily.” ”I think we have inflicted some pain,” he said, ”but we were also creating some side effects for our allies and ourselves so it was an inefficient way to penalize the Russians. We were hurting the allies and ourselves.”
The pipeline project, which is due to become a major source of Western currency for the Soviet Union by the end of the decade, was never seriously threatened by the sanctions, officials have said, but the sanctions did have the effect of making it more expensive for them.
A futura memoria.
Dopo l’accordo sul Winter Package e la ragionevole certezza che quest’inverno non ci saranno interruzioni delle forniture dalla Russia per ragioni contrattuali con Naftogaz, resta da fare una profonda riflessione sulla questione dell’approvvigionamento europeo di gas russo.
Nella concitazione degli eventi ucraini, la confusione tra questione commerciali e proiezioni politiche – spesso alimentata ad arte – ha dominato il dibattito e molte dichiarazioni ufficiali. I fatti sono però chiari: il gas russo è essenziale per l’approvvigionamento e la competitività delle grandi economie europee.
E lo sarà anche nel 2020 e nel 2030, perché le reali alternative sono o più costose (GNL) o a più alte emissioni di CO2 (carbone). E a seconda degli scenari, i volumi di gas russo sono destinati a crescere: la priorità è in ogni caso avere energia competitiva e a più basse emissioni.
Per i Paesi dell’Europa orientale che, a differenza di Italia e Germania, hanno un approvvigionamento non-diversificato e rapporti più difficili con Mosca, ridurre il peso del gas russo è invece una priorità politica. Per questi Paesi, il ricorso a nuovi canali di importazione e a maggiori interconnessioni è la soluzione migliore, senza che però sia necessario trascinare tutte le economie europee in una costosa strategia di “uscita” dal gas russo.
Sul tema, segnalo un bello studio dell’Oxford Institute for Energy Studies dal titolo Reducing European Dependence on Russian Gas – distinguishing natural gas security from geopolitics.
Russia e Ucraina hanno raggiunto ieri sera un accordo per risolvere la questione dell’approvvigionamento di gas per il prossimo inverno.
Dopo lunghi negoziati, Gazprom riprenderà le forniture di gas destinate al mercato ucraino. Era dal 16 giugno che tutto il gas in arrivo in Ucraina era destinato solo al transito verso l’Europa occidentale.
Nella sua versione definitiva, il cosiddetto Winter Package prevede forniture per 4 Gmc. Il prezzo concordato è di 378 dollari ogni mille metri cubi fino alla fine del 2014 e 365 dollari ogni mille metri cubi nel primo trimestre 2015, il momento il cui si verifica il picco dei consumi ucraini.
La cifra è dunque di circa 1,5 miliardi di dollari, versati in anticipo da Naftogaz, probabilmente con l’aiuto dell’UE. A questa cifra si aggiungono 3,1 miliardi di dollari di arretrati, pagati con parte dei 15 miliardi stanziati dal Fondo Monetario.
Il governo di Kiev è così riuscito a sfruttare la propria posizione per costringere gli europei e il Fondo Monetario a farsi carico dell’insolvenza di Naftogaz, mentre Gazprom è riuscita a garantire anche per il prossimo inverno un flusso regolare verso i propri clienti in Europa orientale.
Aggiornamento: sul tema, segnalo una mia intervista con Michele Pierri, pubblicata su Formiche.