Si chiude l’anno e come sempre l’imminente cambio di data offre la scusa per fare qualche riflessione sul futuro. La previsione è facile: il 2014 sembra destinato a proseguire la tendenza verso un assetto multipolare del sistema internazionale.
Chiaro, il superamento dell’unicità statunitense non è cosa dell’anno che viene. E nemmeno del decennio in corso. È però una traiettoria inevitabile: il sistema internazionale non sembra amare le situazioni di squilibirio e difficilmente farà eccezione per lo zio Sam.
Che poi, il multipolarismo cos’è? La coesistenza di tre o più grandi potenze in grado di perseguire autonomamente un’agenda a livello internazionale. Anche se con gradi diversi a seconda dei contesti regionali (la geopolitica non è solo il regno dei ciarlatani), il numero di attori in grado di contrapporsi agli interessi statunitensi è in aumento.
Le ricadute sui mercati dell’energia sono difficilmente prevedibili. I grandi mercati globali, tra cui quello petrolifero, si sono sviluppati grazie all’interesse degli Stati Uniti. Il loro relativo indebolimento non corrisponde però necessariamente al venir meno delle condizioni di funzionamento dei mercati globali, perché anche per gli attori emergenti rappresentano una modalità di approvvigionamento efficiente.
In questo contesto, la posizione dei produttori petroliferi (e in misura minore, di gas) è più forte. Perché come l’aumento del numero di produttori aumenta la sicurezza delle forniture, così un moltiplicarsi dei consumatori offre maggiori garanzie che la produzione trovi un mercato.
Diverso è invece il discorso delle dinamiche complessive di prezzo e della preoccupante dipendenza di molti Paesi produttori da alte quotazioni del greggio. Per i governi che fanno spesa pubblica soprattutto grazie alle rendite petrolifere, una contrazione delle quotazioni può infatti voler dire instabilità.
Forse di questo fenomeno troveremo qualche esempio nel 2014.