Nelle dichiarazioni di Gazprom, il progetto South Stream avanza a grandi passi. Il 13 aprile scorso si è tenuta a Mosca la prima riunione del consiglio di amministrazione del consorzio, presenti Paolo Scaroni (Eni), Henri Proglio (EDF), Harald Schwager (BASF), Alexey Miller e Alexander Medvedev (Gazprom), oltre al nuovo presidente Henning Voscherau, un altro politico tedesco (Gerhard Schröder, passato a Nord Stream) dimostratosi molto felice di passare alle dipendenze dirette dell’impresa di Stato russa. La vicenda è ripresa da Vitus Bering, che la inquadra nel contesto della vicenda South Stream.
Ho già affrontato il tema dell’assenza di domanda sufficiente a dare un senso economico alla realizzazione a breve di South Stream e il peggioramento della situazione in Europa ha se possibile rafforzato di dubbi sul fatto che per tutto quel gas (60 Gmc da South Stream, più 27,5 da Nord Stream II) ci sia mercato in Europa.
Per quanto riguarda invece la competizione con gli altri progetti sul corridoio Sud, quello che arrivano in UE attraverso i Balcani, i due progetti effettivamente in lizza – e sarebbe giusto che anche il Corrado Passera ne prendesse atto – sono TAP e SEEP, riforniti da Shah Deniz II (Azerbaigian), in continuo progresso. Più che rientrare in una strategia delle istituzioni europee, invero parecchio a corto di legittimità e di cartucce, questi progetti sono un tentativo dei competitors delle imprese coinvolte in South Stream di aumentare la competitività dei mercati finali, erodendo quote di mercato agli incumbents (leggi ex-monopolisti).
South Stream appare così soprattutto come un’operazione di chi, come Eni, cerca di mantenere il più possibile invariati gli equilibrî sui mercati finali. Nel caso italiano, infatti, l’arrivo di TAP consentirebbe ad imprese diverse da Eni di rifornire via tubo il mercato italiano escludendo completamente dal midstream il campione nazionale, avendo la possibilità di competere sul prezzo, a tutto vantaggio dei consumatori finali.
Sul fronte russo, i 10 Gmc di TAP – o SEEP, se l’Italia uscirà sconfitta – non sono tali da impensierire veramente Gazprom, che in UE ne esporta quasi 120 Gmc già oggi, e al massimo possono rallentare South Stream, quando emergeranno prospettive economiche sufficienti a giustificare l’investimento. Per i russi, il progresso di South Stream è dunque sostanzialmente un posizionamento cartaceo, in attesa di capire se la ripresa dei consumi ci sarà e quando. Per di più, la rete infrastrutturale russa si è sviluppata nel corso dei decenni e un’accelerazione proprio ora non sembra plausibile.
Un’ultima considerazione sulla competizione cinese: in realtà, i giacimenti della Siberia orientale che servirebbero a servire il mercato cinese sono in gran parte diversi da quelli, più occidentali, che servirebbero a sostenere i nuovi flussi verso l’Europa. Esiste invece una possibile sovrapposizione soprattutto su un’eventuale riesportazione di gas centroasiatico, ma non tale da precludere alcun progetto, allo stato attuale.
La competizione euro-cinese per il gas russo è invece in gran parte sulla priorità dell’allocazione degli investimenti. Sebbene una logica di differenziazione suggerirebbe di guardare a Est, tuttavia per Gazprom i clienti europei restano al momento gli unici in grado di garantire alti prezzi e il rispetto del diritto e dei contratti, mentre i cinesi hanno già tentato di ottenere prezzi molto inferiori a quelli europei e non offrono grandi garanzie di affidabilità in caso di contenzioso. Lo sviluppo orientale di Gazprom senza dubbio ci sarà (soprattutto su altri clienti asiatici), ma in ultima analisi le dinamiche del rapporto con l’Europa sono destinate a rimanere endogene, almeno nel corso del decennio.