Segnaliamo che l’Agenzia Internazionale per l’Energia ha creato una pagina da cui è possibile accedere a tutti gli aggiornamenti e gli approfondimenti che riguardano il mondo dell’energia e la crisi russo-ucraina.
Segnaliamo che l’Agenzia Internazionale per l’Energia ha creato una pagina da cui è possibile accedere a tutti gli aggiornamenti e gli approfondimenti che riguardano il mondo dell’energia e la crisi russo-ucraina.
Dal giugno 2014, Gazprom e Naftogaz sono impegnate in una battaglia legale relativa ai contratti di fornitura di gas del 2009 (semplificando, gli ucraini vogliono una riduzione dei prezzi, i russi il pagamento dei volumi non ritirati), nonché ai diritti di passaggio relativi ai flussi di esportazioni diretti in UE attraverso la rete ucraina.
Secondo quanto riportato da Platts, dopo una ripetuta escalation, il totale delle compensazioni richieste da Naftogaz sarebbe pari a 30 miliardi di dollari, mentre le richieste di Gazprom ammonterebbero a 45 miliardi di dollari.
A decidere, come da termini contrattuali, sarà la corte arbitrale di Stoccolma, che avrebbe dovuto prendere una prima decisione entro la fine di aprile, ma che secondo gli aggiornamenti avrebbe preso tempo fino alla fine del prossimo giugno.
Per avere un quadro dettagliato della vicenda, segnaliamo un report di Platts realizzato da Stuart Elliott e Fabio Reale (da cui è tratta l’infografica riportata qui sotto).
Segnaliamo uno studio dal titolo Adversity and reform: Ukrainian gas market prospects, scritto da Simon Pirani per OIES.
L’argomento principale del lavoro è che ci sono oggi due grandi questioni aperte per il mercato ucraino del gas: la prima è il difficile rapporto col fornitore russo, da cui l’Ucraina sta cercando di eliminare in modo permanente la propria dipendenza, mentre la Russia cerca di bypassare definitivamente il vicino quale Paese di transito verso l’Europa e la Turchia. Il tutto in attesa del lodo arbitrale sui contratti di vendita, atteso per aprile, e di quello sui contratti di transito, atteso per giugno.
La seconda questione aperta è quella del mercato interno del gas, con Kiev che è chiamata – dall’IMF, tra gli altri – a portare avanti un cambiamento delle (basse) tariffe del gas e una generale riforma della regolazione in senso più europeo.
L’argomentazione di Pirani è che la questione delle tensioni con Mosca dovrebbe ridursi dopo il 2019, quando scadranno i vigenti contratti decennali, in un contesto nel quale molto probabilmente saranno già operative nuove infrastrutture, come la prima linea del Turk Stream, e i due Paesi avranno ridotto la propria interdipendenza. Parallelamente, invece, a venire in primo piano dovrebbero essere i problemi relativi alle dinamiche interne al mercato ucraino, dove lo sviluppo di una nuova regolamentazione potrebbe incontrare forte opposizione.
Tra i materiali che completano il testo, particolarmente interessante la tabella con volumi e prezzi del gas importato in Ucraina dal 2014. Secondo quanto riportato, a partire dal 2015 il gas (di provenienza russa) riesportato via UE è stato sistematicamente più caro del gas importato direttamente dalla Russia, i cui volumi sono peraltro stati ridotti a zero nel corso del 2016.
Tutte le importazioni di Kiev dell’anno scorso sono arrivate nel Paese via Slovacchia, Polonia e Ungheria, per un totale di 11 Gmc e un controvalore di 2,24 miliardi di dollari: sarebbe interessante sapere la situazione dei pagamenti per queste forniture, per comprendere meglio la sostenibilità del nuovo equilibrio nel mercato dell’Europa orientale.
Segnaliamo due interessanti grafici pubblicati da Naftogaz. Il primo è relativo all’entità dei flussi in transito attraverso la rete ucraina tra il 1998 e il 2016:
Il secondo è invece una cartina del sistema gas ucraino, con l’andamento dei flussi in entrata e in uscita ai diversi punti di scambio con l’estero (purtroppo aggiornato solo al 2015, ma presumibilmente simile a quello che si avrebbe con anche i dati 2016):
Arriva il freddo e immancabilmente ritorna il tira e molla sulle forniture del gas tra Kiev e Mosca. I consumi giornalieri aumentano e parte del mercato europeo – tra cui l’Italia – continua a dipendere dal transito del gas russo attraverso l’Ucraina. Una situazione che conferisce al governo di Kiev un potere di ricatto, paradossalmente aumentato dalla crescente dipendenza del nuovo governo ucraino dal sostegno internazionale. La debolezza strutturale delle finanze pubbliche ucraine e la necessità per i governi europei di non mostrare pentimento per il sostegno al cambio di regime del 2014 legano infatti le mani alle parti.
L’operazione era già riuscita l’anno scorso, quando il governo di Kiev era riuscito a farsi pagare dall’Europa 3,1 miliardi di dollari per saldare i debiti con Gazprom più altri 1,5 miliardi per pagare in anticipo il gas russo destinato al mercato ucraino. Lo scopo per l’UE era quello di evitare che Naftogaz, non ricevendo più gas da Gazprom per via della morosità, si rifacesse utilizzando il gas destinato ai clienti europei stoccato nei giacimenti della parte orientale del Paese.
A inizio ottobre di quest’anno, la storia si è ripetuta. Naftogaz ha ricevuto un nuovo contributo europeo di 500 milioni, serviti per comprare 2 Gmc di gas russo necessari a riempire gli stoccaggi. A staccare l’assegno, la Banca Europea degli Investimenti e la Banca Mondiale.
In parallelo agli esborsi europei per pagare le importazioni di gas ucraine procede, peraltro, il sostegno fornito a Kiev dal Fondo Monetario internazionale, che ha già trasferito 10 miliardi di dollari , a cui si aggiungeranno altri 7,5 miliardi se saranno adottate almeno in parte le riforme richieste, tra cui la revisione dei prezzi del gas ai clienti finali.
La notizia di ieri dell’interruzione da parte di Naftogaz dell’acquisto di gas da Gazprom è collegata al fatto che il governo di Kiev ha finito i soldi per pagare nuove forniture. A differenza di quanto avrebbe detto Alexei Miller, però, non ci saranno problemi per l’approvvigionamento europeo di gas.
Il fabbisogno ucraino di gas è infatti crollato a causa della crisi economica: nei primi otto mesi del 2015, l’Ucraina ha consumato il 30% di gas in meno rispetto allo stesso periodo del 2014. E si tratta del quarto anno consecutivo di calo. Dato che la produzione interna ucraina è rimasta invariata, la necessità di gas importato è fortemente diminuita.
Allo stesso tempo, gli stoccaggi ucraini a fine ottobre erano più pieni dell’anno scorso e a livelli analoghi a quelli del 2013. Non sembrano dunque esserci, come nel corso dell’ultimo inverno, le condizioni affinché si presentino problemi nella stabilità dei flussi di gas russo verso l’UE.
Per Gazprom, è naturale gridare all’allarme per ricordare ai governi europei la rilevanza del transito attraverso la rete ucraina. Per il governo di Kiev, la bandiera della sicurezza energetica europea è un utile strumento per chiedere nuovo sostegno agli sponsor europei. Per i governi europei, dunque, occorre sangue freddo e la capacità di immaginare misure affinché il ricatto ucraino non si ripresenti – puntuale – anche nei prossimi autunni.
Segnalo un saggio di Diego Cordano dal titolo Ucraina e sicurezza energetica, pubblicato nella sezione approfondimenti del sito dei Servizi di informazione. Il lavoro è suddiviso in due parti. Nella prima, l’autore propone una riflessione sul concetto di guerra ibrida e sulla letteratura in materia. Nella seconda propone invece una lettura della questione russo-ucraina in chiave energetica, individuando tre modalità con cui gli aspetti energetici sono risultati rilevanti.
La prima modalità è quella del controllo militare delle infrastrutture chiave, tra cui naturalmente spiccano quelle energetiche. Durante le diverse fasi del conflitto, il controllo di gasdotti, linee elettriche e terminali di importazione, come dimostrato nelle operazioni condotte dalle forze armate indipendentiste sia in Donbass sia in Crimea.
Particolare accento è posto anche sull’entità delle riserve energetiche dell’area orientale del Paese, la cui sottrazione al controllo di Kiev costituisce un elemento fondamentale di indebolimento. Per quanto riguarda i giacimenti di carbone del Donbass, rappresentano infatti il 90% della produzione ucraina, anche se l’elemento più importante delle attività nella regione è la produzione industriale (un quinto del totale di tutta l’Ucraina, prima della guerra).
Per quanto riguarda gas e petrolio, le risorse presenti nell’area orientale del Paese sono probabilmente consistenti come sostengono le fonti citate dall’autore – a cominciare dal campo di gas da argille di Yuzivska, in Donbass – ma non sono ancora state provate e le attività di coltivazione richiederebbero in ogni caso diversi anni e molti miliardi di investimenti internazionali. Non solo è Shell ha dichiarato la forza maggiore per Yuzivska, ma anche Chevron ha abbandonato le attività in Ucraina occidentale, vicino al confine con la Polonia, per vai delle condizioni geologiche avverse e dell’incertezza sul quadro fiscale in Ucraina.
La seconda modalità è quella della pressione economica, a partire anzitutto dalla questione del prezzo delle forniture di gas naturale russo all’Ucraina. L’autore ricostruisce puntualmente i livelli di prezzo praticati da Gazprom a seguito delle decisioni russe di non rinnovare gli sconti concessi al governo ucraino prima delle destituzione di Yanuchovic e giunti a scadenza nel corso del 2014.
Tutto vero, a cominciare dalla volontà russa di indebolire il nuovo governo di Kiev, ma il rischio però è quello di far apparire le scelte russe come unilaterali, laddove si inseriscono in un intreccio di mosse e contromosse, da parte delle diverse fazioni interne al sistema politico ucraino e da parte dei governi occidentali.
Per esempio, il ritiro degli sconti sul gas ha riallineato i prezzi praticati a Naftogaz a quelli pagati dai clienti dell’Europa occidentale (al netto di sconti particolari) e ha fatto venir meno una situazione di beneficio precedente concessa a Yanukovich, in risposta al cambio di regime a Kiev e all’inizio del sostegno finanziario occidentale all’Ucraina. Il contesto è come sempre fondamentale.
La terza modalità è quella della comunicazione strategica russa. Vecchia probabilmente quanto la guerra, la propaganda è utilizzata con maestria dal governo russo, come dalle controparti occidentali.