La sicurezza energetica europea? Un mercato ben funzionante

CEER Position on the European Commission Communication: European Energy Security Strategy [COM(2014)330] CEER Position on the European Commission Communication: European Energy Security Strategy [COM(2014)330]A maggio la Commissione ha diffuso un documento dal titolo Strategia europea di sicurezza energetica. Un documento inevitabilmente limitato, in linea con gli effettivi margini d’azione delle istituzioni europee, ma in ogni caso utile per alimentare il dibattito sul tema e la produzione di studi e valutazioni.

Tra le misure più significative, a fine agosto era arrivato alla Commissione uno stress test da ciascuno Stato membro, allo scopo di valutare i possibili rischi derivanti dall’approvvigionamento di energia, soprattutto di gas. Si tratta di documenti non pubblici, ma i risultati sono facilmente immaginabili: tutto sotto controllo, anche grazie ai bassi consumi dovuti alla crisi.

Le uniche criticità in materia di gas sono l’assenza di diversificazione nelle forniture in Europa orientale e la limitata interconnessione tra Spagna e Francia, come messo in evidenza anche da Entsog.

Il documento della Commissione ha anche spinto diverse organizzazioni a pubblicare le proprie deduzioni sul tema. Il Council of European Energy Regulators (CEER), che riunisce le Autorità nazionali in materia di energia, ha pubblicato la settimana scorso il proprio documento di posizione.

La tempistica non è casuale: oggi a Milano è previsto un incontro informale sull’energia, di cui il nostro Governo dovrà preparare il documento di sintesi finale. Molto probabilmente ci sarà un riferimento alla questione dello stoccaggio strategico europeo di gas, ossia al fatto che in caso di emergenza il controllo degli stoccaggi di emergenza si dovrebbe fare sempre più a livello europeo anziché nazionale. Concetto più simbolico che altro: gelosie nazionali a parte, le interconnessioni sono in ogni caso limitate, anche se in crescita, e quindi il gas stoccato serve soprattutto al Paese in cui è ubicato il sito di stoccaggio.

Come evidenziato dal CEER, il vero nodo della questione è un altro: il principale strumento di sicurezza per i consumatori europei è un mercato concorrenziale, integrato e ben funzionante, in cui l’intervento diretto del decisore politico sia davvero circoscritto a situazioni di emergenza ben definite e limitate nel tempo. Speriamo che il messaggio in qualche misura passi e che in questo campo le azioni seguano le dichiarazioni.

Aggiornamento: qui il “Report on short, medium and long term measures on energy security” utilizzato come base per l’incontro informale sull’enegia di oggi.

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Le sanzioni colpiscono l’upstream russo nell’Artico

FT - Exxon winds down Russian Arctic drilling campaignLa multinazionale petrolifera per eccellenza, ExxonMobil, ha dovuto interrompere le operazioni di perforazione nell’Artico russo a causa delle nuove sanzioni statunitensi. In particolare, Exxon ha bloccato i lavori della piattaforma West Alpha nel campo Universitetskaya-1, iniziati ad agosto.

Exxon è impegnata in un programma di investimenti da 700 milioni di dollari per l’espansione della produzione artica di cui fanno parte i lavori interrotti, nel quadro di una joint-venture con Rosneft da 3,2 miliardi di dollari.

Le sanzioni statunitensi iniziano così a fare male, anche se a breve termine gli effetti sono limitati. Di qui al 2020, però, il mancato sviluppo delle riserve artiche potrebbe costare alla Russia fino al 20% della propria produzione. Forse le stime sono un po’ alte, ma la tendenza è chiara.

Nel 2013 la Russia è stata il secondo produttore mondiale (12% del totale), con 10,8 milioni di barili, 700 mila meno dei sauditi ma 800 mila più degli statunitensi. Con 325 miliardi di export, il petrolio e i suoi derivati pesano per il 62% degli attivi di bilancia commerciale per Mosca.

Molto più dei 53 miliardi di dollari di gas che Gazprom dichiara di aver venduto fuori dall’ex-Urss nel 2013. Il gas però sembra una partita alquanto diversa.

Con le sanzioni, a rischio potrebbe esserci anche la tempistica dello sviluppo di Yamal LNG, l’investimento da 27 miliardi di dollari per un terminale di liquefazione da circa 22 Gmc/a sviluppato da una joint-venture tra Total, Novatek e China National Petroleum Corporation.

La storia in questo caso potrebbe però essere diversa: a limitare gli effetti delle sanzioni finanziarie potrebbero però arrivare capitali russi per 2.6-3.9 miliardi di dollari. A cui si aggiungerebbero, secondo le stime di Novatek, 20 miliardi di dollari della China Development Bank Corporation.

E i Paesi asiatici potrebbero giocare un ruolo anche nel fornire tecnologia per le attività di trivellazione: Igor Sechin in un’intervista a Der Spiegel ha ricordato che se i produttori tedeschi non vorranno fornire macchinari ai clienti russi, questi si rivolgeranno ai fornitori coreani e cinesi. Una boutade, ma non priva di fondamento.

La diversità tra i progetti di liquefazione del gas e quelli di trivellazione artica è in larga parte dovuta al diverso livello di complessità delle operazioni, per il momento possibili solo per i colossi occidentali. Tuttavia, anche se richiederà anni, l’avanzamento tecnologico asiatico è solo questione di tempo e di opportunità.

Opportunità che l’Occidente sembra offrire a ripetizione, noncurante delle conseguenze future delle scelte attuali.

Il gas russo e la situazione degli stoccaggi in Europa

Livello di riempimento degli stoccaggiIn Ucraina, la situazione sul terreno sembra finalmente migliorare. E le possibilità che si arrivi a un compromesso sulla questione delle forniture per quest’inverno si fanno più concrete.

Nonostante quanto sostenuto da alcuni, fare a meno del gas russo per i Paesi europei sarebbe molto complesso, molto costoso e non alla portata di tutti.

In primo luogo, perché per aumentare le importazioni di GNL occorrerebbe pagare i carichi addizionali a prezzi di mercato. Ammesso che si trovino, peraltro. Tradotto in euro, diverse decine di miliardi di euro di passivo commerciale in più, da scaricare sugli utenti finali. Via tariffa o via fiscalità generale, cambia poco.

In secondo luogo, perché i terminali di rigassificazione sono soprattutto in Spagna e Regno Unito, ma gli importatori di gas russo si trovano in Europa centrale e orientale. E non ci sono infrastrutture di trasporto adeguate, nel mezzo.

Insomma, alla fine del gas russo ne abbiamo bisogno, per scaldare il prossimo inverno e per farlo senza peggiorare una situazione economica di certo non rosea. C’è un particolare tecnico però da tenere in considerazione: gli stoccaggi, fondamentali per soddisfare la domanda di gas durante i mesi estivi invernali. E che in questa stagione dovrebbero essere praticamente al massimo.

Secondo i dati GIE, in UE solo un Paese è attualmente in una situazione critica, l’Ungheria, che ha gli stoccaggi pieni a meno del 60%. Fuori dai nostri confini, il problema è naturalmente l’Ucraina, che ha gli stoccaggi letteralmente mezzi vuoti e solo un paio di mesi utili per riempirli, prima che arrivi il freddo.

Tecnicamente, sarebbe anche possibile, secondo i dati ufficiali: con una capacità di iniezione massima di 285 Mmc al giorno e 15,5 Gmc da riempire, ci vorrebbero 54 giorni (in teoria). Ma ci vorrebbe anche il gas russo da metterci dentro e, va da sé, la liquidità per pagarlo. E io ho già un’idea di chi ce lo metterà, alla fine…


Livello di riempimento degli stoccaggi


Sanzioni russe: quali sono i rischi per l’Italia?

Wired - Sanzioni russe: quali sono i rischi per l’Italia?Segnalo un articolo di Davide Mancino dal titolo Sanzioni russe: quali sono i rischi per l’Italia?, con anche un’analisi dell’interscambio tra Roma e Mosca.

L’articolo include anche una breve intervista al sottoscritto, di cui riporto una domanda.

«Ma tutto considerato chi ci rimette di più con le sanzioni? Gli europei. Alla Russia fai male solo se blocchi l’export petrolifero e di gas. È l’unico modo, mentre il resto peggiora solo la situazione. D’altra parte gli Stati Uniti non ci rimettono quasi nulla: il loro export è inferiore persino a quello italiano».

Qui il resto.

Le sanzioni spingono la Russia verso la Cina, ma l’Europa sta a guardare

FT - Sanctions help Russia overcome its China paranoiaLe sanzioni alla Russia decise dagli Stati Uniti e appoggiate senza entusiasmo dai governi europei continuano a fare danni, senza sortire effetti particolarmente positivi sul terrreno.

Come noto, le nuove sanzioni colpiscono gli operatori russi dell’energia a livello finanziario, riducendo drasticamente le loro possibilità di ricevere finanziamenti dagli istituti finanziari occidentali. Nessuna restrizione invece sui flussi di esportazione, troppo importanti sia per la Russia sia per i Paesi europei perché entrino nel gioco delle sanzioni.

Eppure, qualche conseguenza strutturale le sanzioni la stanno avendo. E si tratta di cattive notizie per l’Occidente, forse persino più che per la Russia. Limitato nella cooperazione coi tradizionali partners europei, il governo di Mosca si rivolge sempre di più a quello di Pechino.

Sebbene le notizie abbiano un timing e alcuni dettagli che sanno di propaganda, resta il fatto che il settore energetico russo si sta legando sempre di più alle controparti cinesi. Alla base certamente c’è un dato geografico: il mercato più vicino alle riserve della Siberia orientale è la Cina. Ma non è un dato determinante, soprattutto per il petrolio (in fondo anche l’Ucraina è più vicina della Germania).

E non si tratta di una novità di questi mesi: i cinesi hanno comprato una quota di Udmurtneft (2006), finanziato Transneft (2009), sono entrati in Yamal (2013). E naturalmente hanno siglato a maggio un accordo trentennale con Gazprom per il gas siberiano.

Ora è arrivata l’offerta russa di ingresso cinese in Vankorneft, una controllata di Rosneft che opera una serie di campi in Siberia orientale. L’eventuale accordo con CNPC avrebbe però un chiaro elemento di novità: Vancor ha un portafoglio di campi onshore, che non comportano particolari rischi o sfide tecnologiche. Insomma, a differenza di tutti gli altri casi di ingresso straniero nell’upstream russo, l’ingresso straniero non riguarderebbe campi marginali o tecnologicamente problematici.

Un trattamento di favore riservato al governo cinese, che potrebbe precludere all’annuncio di ulteriori iniezioni di capitali cinesi, magari sotto forma di prestiti a tasso agevolato coperti da contratti di fornitura di lungo periodo. Indispendabili per compensare gli effetti delle sanzioni e per dare un segnale chiaro ai governi, agli istituti finanziari e alle imprese occidentali, che nel frattempo continuano a perdere importanti occasioni di investimento. Con conseguenze che si trascineranno per decenni.

Nuove sanzioni alla Russia, ma la tregua è (forse) alle porte

The Telegraph - Kiev and separatists met in Minsk for Ukraine peace talksIl summit Nato è in chiusura e le pressioni statunitensi sui partner europei hanno portato a nuove sanzioni, che colpiranno il settore petrolifero sul piano finanziario. Nessuna conseguenza diretta invece per le esportazioni di petrolio.

E naturalmente nessuna misura colpirà il settore del gas, grazie all’intervento dei governi europei più coinvolti negli scambi con la Russia, Germania e Italia in primis. Le colombe europee vincono anche sul fronte militare: la Nato infatti non fornirà armi all’Ucraina.

La necessità di riempire gli stoccaggi ucraini prima dell’inizio dell’inverno comincia a farsi sentire, mentre sul terreno si sta assistendo da mesi ad avanzate dell’esercito ucraino e contrattacchi dei ribelli, in una situazione di sostanziale stallo. Proprio l’impossibilità di arrivare a una vittoria sul campo ha spinto il governo di Kiev ad accettare i colloqui coi separatisti a Minsk, che secondo indiscrezioni potrebbero portare a un cessate il fuoco già alle 14:00 di oggi.

La situazione sul terreno è instabile e la tregua potrebbe essere davvero solo temporanea, ma è sicuramente negli interessi sia russi sia europei, tanto che le pressioni su Kiev potrebbero avere la meglio.

Di certo resta la determinazione di Mosca non abbandonare i ribelli e consentire una completa vittoria di Kiev, che aprirebbe le porte a un percorso di ingresso del Paese nell’Ue e soprattutto nella Nato. Evitare questo risultato e trovarsi l’alleanza statunitense a poche centinaia di km da Mosca è la vera linea rossa su cui nessun governo russo può cedere.

In fondo, probabilmente ha ragione Mearsheimer: la crisi in Ucraina è (anche) colpa dell’Occidente.