Hollande: un asse franco-tedesco nell’energia

François Hollande - Ouverture de la conférence de presse du président de la République au Palais de l’Élysée le 14 janvier 2014«Dobbiamo coordinarci per la transizione energetica. Questa è una grande scommessa per l’Europa. Ma noi, la Francia e la Germania, dobbiamo dare l’esempio […] nella costituzione delle filiere industriali comuni per la transizione energetica.

Siamo molto fieri dei risultati di Airbus, una grande impresa franco-tedesca […]. L’idea è quella di fare una grande impresa franco-tedesca per la transizione energetica».

C’è molta retorica nelle parole di Hollande, ma il progetto politico è chiaro (leggere o ascoltare per credere): l’integrazione europea deve essere in realtà un’integrazione franco-tedesca, con buona pace dei Paesi periferici.

E il Presidente cita tre punti chiave: stato sociale, difesa e energia. E proprio al modello industriale della difesa (Airbus) guarda la proposta francese: un campione franco-tedesco, tanto grande da puntare a dominare il mercato europeo e competere a livello globale.

E non rischiare noie dalla Commissione europea, che notoriamente ha un’avversione per i campioni nazionali e per uno Stato troppo interventista (invidia…?). Ma che dovrebbe ancora una volta arrendersi di fronte a una volontà comune franco-tedesca.

Nei fatti, è difficile dire a cosa potrebbe portare la proposta. Perché se dal lato francese è naturale guardare a EDF, su quello tedesco la frammentazione tra grandi operatori (E.on, RWE) e la limitata partecipazione pubblica (in mano a comuni e enti locali, peraltro) rendono davvero difficile trovare un referente. E immaginare uno sviluppo industriale a breve.

Eppure Hollande ha tracciato chiaramente una linea e ha toccato (direttamente o indirettamente) alcuni punti chiave per il governo tedesco: la transizione energetica, lo sviluppo di una filiera industriale di scala credibile, la difesa dei sussidi agli energivori di fronte agli obiettivi ambientali (e alle audaci iniziative del Parlamento europeo).

Se si andrà in quella direzione, l’effetto sarà un’ulteriore marginalizzazione dell’Italia, ridotta ancora di più a mercato finale dove esportare tecnologia. E degli operatori italiani, ai quali si è impunemente impedito l’ingresso in grande stile su alcuni mercati e che certo non avrebbero vita facile a competere con una crescente ingerenza pubblica franco-tedesca.

Insomma, anche se per ora non stiamo parlando di fusioni in vista, il cuore del messaggio è chiaro: finché si tratta di imporre la concorrenza sui mercati periferici (e noi lo siamo, uh se lo siamo), tutti europeisti. Ma quando si tratta fare politica industriale, c’è chi sembra avere le idee molto chiare. Se a Roma c’è un governo, batta un colpo.

L’Europa e l’energia nel 2014

AgiEnergia - L’Europa e l’energia nel 2014Nuovo anno, sfide vecchie: proseguire l’interconnessione e l’integrazione dei mercati europei, conciliare l’efficienza economica e i (bizzarri) obiettivi di politica ambientale, gestire il cambiento di paradigma nella sussidiazione delle rinnovabili.

Il tutto, con un’elezione del Parlamento europeo in mezzo (maggio) e la nomina di una nuova Commissione (nei mesi successivi). Sul tema, segnalo un’interessante analisi di Luigi De Paoli pubblicata su AgiEnergia: L’Europa e l’energia nel 2014.

Ucraina: stop alle importazioni di gas dall’UE

Interfax - Ukraine imports 2 bcm of gas from Europe in 2013, files no bids for early JanuaryCome prevedibile, con l’inizio del 2014 l’Ucraina ha interrotto le importazioni di gas naturale dall’UE, in seguito ai nuovi accordi raggiunti con Gazprom.

Si trattava di volumi minimi in ingresso sulla rete ucraina dall’Ungheria e dalla Polonia, pari a 2 Gmc nel 2013, e con un impatto marginale sull’approvvigionamento ucraino (oltre 30 Gmc di importazioni).

Nell’ambito dei negoziati pre-Vilnius, si era arrivati a ventilare l’ipotesi di aumentare la riesportazione di gas russo in Ucraina attraverso i Paesi UE, in particolare attraverso la realizzazione di capacità in uscita dalla Slovacchia.

Gli accordi con la Russia hanno però messo in evidenza la deblozza dei fondamentali politici ed economici dell’operazione di approvvigionamento attraveso l’UE e riportato l’attenzione su due dati empirici spesso trascurati: il gas arriva dalla Russia e l’Ucraina è collocata tra la Russia e l’UE. Back to basics, dopo tutto.

Commissione Europea: un documento da evitare

Energy Policy – Europe takes powerLa politica energetica in Europa è ancora largamente (e inevitabilmente) una questione nazionale, nonostante i crescenti paletti messi messi dalla legislazione europea in materia di concorrenza e di ambiente.

Secondo quanto anticipato da Nick Butler, sarebbe in arrivo per la fine del mese un nuovo documento programmatico della Commissione Europea che procede proprio in questa direzione. La commissione Barroso II è infatti in uscita e si cerca così di dare un ultimo indirizzo prima del cambio della guardia.

I punti principali sarebbero tre e destano più di una perplessità. Il primo è la lotta alle esenzioni dal pagamento dei sussidi alle rinnovabili accordate da alcuni governi (soprattutto la Germania) ai grandi consumatori industriali di energia. La scelta tedesca serve a mantenere la competitività dei grandi produttori energivori ed evitare la delocalizzazione, ma non piace a Bruxelles perché sarebbe un aiuto di stato.

Anche il secondo punto riguardarebbe gli aiuti di stato ma avrebbe come principale destinatario il governo britannico, intenzionato a sussidiare tramite un prezzo di vendita garantito il nuovo reattore di Hinkley Point. L’art. 194 del TFUE prevede chiaramente l’autonomia dei singoli Paesi nel definire il paniere energetico, ma la Commissione vuole avere l’ultima parola (il che, per puro caso, potrebbe essere qui una buona notizia per i consumatori britannici).

Il terzo punto riguarderebbe invece la produzione di idrocarburi non convenzionali, su cui i diversi governi hanno posizioni molto distanti. La Commissione punterebbe a un quadro normativo europeo (prevedibilmente piuttosto farraginoso e restrittivo), che rallenterebbe le operazioni in quei Paesi dove il non convenzionale gode di una sostanziale approvazione. Le principali «vittime»: Regno Unito, Polonia, Romania.

La Commissione è attivamente impegnata in una lotta per accentrare potere decisionale e ciascuno ha la propria legittima opinione in merito. Il problema è che, se davvero questi fossero i punti centrali del documento programmatico, si tratterebbe di una visione molto poco pragmatica.

La Commissione sarebbe infatti ancora una volta esposta alle accuse di favorire la deindustrializzazione, di scoraggiare gli investimenti in Europa e di ostacolare la produzione interna di energia che non siano rinnovabili sussidiate.

Non esattamente il massimo, a quattro mesi da elezioni europee che si preannunciano molto favorevoli per i partiti anti-UE.

L’offensiva russa

FT - Russia targets EU in WTO suit over energy policyLa Federazione Russa ha richiesto una consultazione formale con l’UE per violazione degli accordi del WTO.

Il governo russo contesta alla controparte europea di aver penalizzato alcune aziende russe come misura anti-dumping, in particolare nei settori dei fertilizzanti, dei tubi di acciaio e della produzione di acciaio e alluminio.

La misure sono state adottate da Bruxelles sulla base del costo ridotto dell’energia di cui godono le aziende russe, grazie alle politiche industriali di Mosca.

Il contenzioso è una risposta ai dazi imposti dalla Russia ai veicoli stranieri. Quest’ultima è ufficialmente una misura di protezione ambientale, ma secondo le accuse della Commissione sarebbe in realtà una misura di protezionismo a favore delle aziende russe.

Ora le parti hanno 60 giorni per dirimere la questione in modo bilaterale. In caso di insuccesso, il caso sarà portato davanti a un panel creato dal WTO per giudicare sulla questione.

La mossa russa rientra nel quadro della più ampia contrapposizione con la Commissione Europea, sia per la questione ucraina sia per la questione del ruolo di Gazprom nel mercato europeo.

Restano infatti pendenti sia il dossier relativo all’abuso di posizione dominante e alla restrizione della concorrenza in Europa Orientale, sia la questione dei procedimenti autorizzativi di South Stream.

La visita del presidente Putin di fine gennaio si preannuncia ricca di impegni.

Gas Politics After Ukraine

Brenda Shaffer - Gas Politics After Ukraine. Azerbaijan, Shah Deniz, and Europe's Newest Energy Partner Segnalo un’analisi di Brenda Shaffer pubblicata su Foreign Affairs col titolo Gas Politics After Ukraine. Azerbaijan, Shah Deniz, and Europe’s Newest Energy Partner.

La firma è di livello, ma il pezzo ha parecchi limiti: il contributo statunitense (a differenza del BTC) è stato marginale mentre la funzione principale delle istituzioni europee è stata quella di fare schiamazzo mentre le compagnie e i governi facevano il lavoro. Washington dista quasi 10.000 km, e si sentono tutti.

Un passaggio brilla poi per indifferenza rispetto alla realtà: nonostante abbia indicato che il gas azerbaigiano darà un contributo modesto in termini di volumi, si lascia andare a scrivere che «[the] interconnecting gas pipelines in Europe, filled with Azerbaijani gas, will ensure that Russia can no longer switch off the heat in eastern Europe and the Caucasus on a whim».

A quanto pare, l’idea che Gazprom voglia e soprattutto possa davvero tagliare le forniture ai propri clienti in Europa per oscuri ricatti politici va ancora di moda. Ma forse qui siamo nel reame del giudizio di valore (e mi taccio).

Per quanto riguarda però il Caucaso, è da un po’ che la Russia ha smesso di esportare gas in Georgia (almeno, nella parte non occupata). Quanto poi alla distanza che separa la Bulgaria dalla Slovacchia e dalle Repubbliche del Baltico, rimando invece a Google Maps