Festival dell’energia 2014

Festival dell'energia 2014 - 16 maggioTorna anche quest’anno il Festival dell’energia, a Milano dal 15 al 17 maggio. Tanti gli appuntamenti in calendario, con tavole rotonde, dibattiti e dimostrazioni in laboratorio presso il Politecnico.

Quanto a me, il 16 maggio alle 11:15 prenderò parte alla tavola rotonda Russia, USA, Europa: il gas e il castello dei destini incrociati, in Sala Consiglio Dipartimento Energia (Campus Bovisa La Masa).

Interverranno Daniele Gamba (SRG), Paolo Esposito (CBA), Marco Margheri (Edison), Andrea Paliani (Ernst & Young), Giampaolo Russo (TAP), Evgeny Utkin (Partner N1). A condurre, Paolo Messa (Formiche).

Aggiornamento: la foto dell’evento diffusa dall’account Twitter di EY Italy.

EY Italy - Festival dell'energia 2014

L’impatto limitato del GNL statunitense

AgiEnergia - L’impatto limitato del GNL statunitenseChe il non convenzionale abbia rivoluzionato il mercato nordamericano del gas è ormai storia nota: l’aumento della produzione interna, l’azzeramento delle importazioni, la perdita di competitività delle altre fonti. Grazie alla produzione di gas da argille, i consumatori statunitensi hanno visto completamente rovesciate le prospettive di una crescente dipendenza dalle importazioni, via tubo e soprattutto via GNL. E soprattutto hanno visto il prezzo dell’energia contrarsi.

I dividendi politici di questa inattesa evoluzione del mercato sono notevoli: le attività di produzione hanno attirato nuovi investimenti sul suolo statunitense, mentre la disponibilità di energia a prezzi competitivi ha avviato un processo di reindustrializzazione in molti settori ad alta intensità energetica.

Le conseguenze in termini di crescita economica, di aumento del gettito fiscale e di aumento dell’occupazione sono già evidenti e le aspettative per il futuro sono particolarmente positive. E, cosa altrettanto importante, sono entrate nel dibattito pubblico come dati acquisiti.

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Le implicazioni geostrategiche del non convenzionale

CSIS - New Energy, New Geopolitics: Balancing Stability and LeverageGas e petrolio non convenzionali hanno profondamente cambiato i mercati dell’energia nordamericani. Per il momento, invece, gli effetti a livello globale sono per lo più effetto di speculazione teorica (e qualche volta politica).

Di certo per ora c’è solo la mutata posizione commerciale degli Stati Uniti, che però hanno smesso da tempo di essere il centro della nuova domanda di energia.

Sul tema si è scritto tanto (anche troppo), ma i nuovi studi interessanti non mancano. Segnalo anche io il report del CSIS dal titolo New Energy, New Geopolitics: Balancing Stability and Leverage.

Lavoro approfondito e molto interessante, soprattutto per la creazione di una scenaristica articolata in quattro casi e per l’attenzione specifica alle diverse aree geografiche.

Il metano americano ci darà una mano?

Sole24Ore - Un oceano di metano in Europa. Ma l'Italia rischia di perdere la partitaL’arrivo di Obama in Europa per il vertice nei Paesi Bassi e la successiva visita nella Penisola hanno portato alla ribalta il tema del metano americano come alternativa a quello russo.

Non mi soffermo sulla (non) necessità di diversificare rispetto alla Russia. Vorrei invece soffermarmi sulla questione della plausibilità dell’ipotesi che il gas statunitense rappresenti oggi un’alternativa a quello russo.

Attualmente gli Stati Uniti hanno un solo rigassificatore, in Alaska. Esistono diversi progetti tra conversione di rigassificatori esistenti in terminali di liquefazione e di creazione di terminali di liquefazione ex novo (36 35 hanno ricevuto una prima approvazione, per un totale di oltre 300 Gmc/a di capacità).

Di questi però solo un complesso, Sabine Pass, è attualmente in fase realizzazione e consentirà esportazioni (meno di 30 Gmc/a) a partire dal 2015. Troppo tardi e troppo poco per fare la differenza rispetto alle esportazioni di Gazprom, che nel solo 2013 hanno superato i 120 Gmc verso l’Ue, più altri 30 verso l’Ucraina e altri 25 verso la Turchia.

Ma anche fingendo per assurdo che Obama possa far apparire i terminali di liquefazione e le metaniere dal nulla, servirebbero a poco o a nulla. Perché se è vero che la capacità di rigassificazione massima annua in UE è di oltre 190 Gmc (di cui quasi 150 in teoria inutilizzati), in ogni caso i terminali non ci sono proprio in quei mercati che dipendono dal gas russo.

E non stiamo parlando solo di Bulgaria, Slovacchia e Ungheria. Stiamo parlando soprattutto di Germania, che con 38 Gmc è il primo importatore di gas russo. E che pur essendo il più grande mercato UE (89 Gmc), non dispone di un solo rigassificatore.

A questo aggiungiamo, a scanso di equivoci, che non esiste (perché troppo cara da realizzare) una significativa capacità di interconnessione tra i terminali esistenti e i mercati dell’Europa centrale e orientale.

Insomma, ce n’è abbastanza per poter dire in tutta serenità che l’inverno prossimo il gas consumato dai tedeschi (e quindi da tutto il resto d’Europa) o sarà russo o sarà russo.

Delle prospettive di più lungo periodo, dalla concorrenza cinese ai costi di trasporto, parleremo un’altra volta. Faccio solo una precisazione, visto che se ne parla tanto: la vera concorrenza canadese, se ci sarà, sarà sui mercati dell’Asia orientale.

Per capirlo, basta dare un’occhiata alle autorizzazioni per la realizzazione di nuovi terminali: uno solo su sei è sulla costa orientale del Paese. Gli altri sono in British Columbia e pensare di far transitare il gas diretto in UE attraverso Panama o le rotte artiche è a pieno diritto nel dominio della fantascienza.

L’impatto del non convenzionale sulle relazioni internazionali

John M. DeutchCome ormai è noto, gli Stati Uniti hanno conosciuto negli ultimi 4-5 anni una rivoluzione energetica analoga per importanza a quella che si sta cercando di attuare in Europa. Tuttavia, se da questa parte dell’Atlantico si cerca di promuovere tramite i sussidi pubblici lo sviluppo delle fonti rinnovabili, dall’altra parte dell’oceano sono le imprese private del comparto petrolifero che hanno aperto la strada allo sfruttamento di enormi giacimenti di gas e petrolio non convenzionali.

Le conseguenze di questa rivoluzione si stanno oggi manifestando appieno e stanno portando gli USA verso l’autosufficienza energetica in termini netti (si esporta carbone e si importano uranio e petrolio). Per il professore del MIT nonché ex direttore della CIA, John Deutch, che ha tenuto ieri a Milano una lezione presso il FEEM, questo non significa che gli USA diventeranno energeticamente indipendenti, ma semplicemente che dipenderanno molto meno dalle importazioni di materie prime energetiche dall’estero.

Ciò, a sua volta, permetterà a Washington una maggiore libertà sullo scenario internazionale e rappresenterà certamente un duro colpo, sia dal punto di vista economico che politico, per quei Paesi produttori che dipendono molto dalle quotazioni sostenute del greggio (vedi Russia e Iran, ma anche Venezuela). Quotazioni che per Deutch dovrebbero attestarsi sui 70-90 $ al barile nei prossimi anni.

Secondo Deutch, in sostanza, la rivoluzione del non convenzionale avrà effetti positivi e duraturi (15-20 anni) per i consumatori di tutto il mondo. A patto, naturalmente, che l’industria sia in grado di gestire al meglio l’impatto ambientale che le attività di fracking comportano, smontando così una delle maggiori cause di opposizione da parte delle comunità locali allo sfruttamento degli idrocarburi non convenzionali.

Anche l’Economist a volte sbaglia

 Money talks: March 3rd 2014 - Sabre-rattling and stocksIn questi giorni sono apparsi sui media numerosi commenti sulle possibili implicazioni della crisi russo-ucraina. Come spesso accade, tuttavia, non sempre si parla a proposito o in maniera obiettiva.

Anche l’Economist, fonte di solito molto affidabile, ha espresso una posizione quanto meno non precisa nella rubrica Money Talks.

Nel video uno dei giornalisti sottolinea come l’Europa sia troppo dipendente dal gas russo (25% dei consumi) e come la gran parte di questo passi attraverso l’Ucraina (80%). Conclusione: nel medio-breve termine l’UE è minacciata dalla crisi politica tra Russia e Ucraina e deve intervenire, promuovendo tra le altre cose il ricorso allo shale gas e incoraggiando le recenti aperture dell’Amministrazione USA sull’esportazione di gas nord-americano.

Ora, che l’80% del gas russo diretto in Europa passi dall’Ucraina mi sembra quanto meno un’affermazione capziosa: può anche essere, ma con il Nord Stream e il Yamal Europa disponibili, solo 100 Gmc di capacità di esportazione annua su un totale di circa 180 Gmc passano in suolo ucraino.

Se ci aggiungete il fatto che i consumi europei sono in calo per la crisi economica (i gasdotti stanno lavorando a capacità ridotta) e che la primavera è alle porte, è possibile dire che ad essere minacciati sono solo alcuni Paesi membri dell’UE, come la Slovacchia o la Bulgaria, mentre per gli altri i pericoli sono molto modesti.

Che poi la decisione dell’amministrazione USA di autorizzare la realizzazione di qualche impianto di rigassificazione possa aiutare l’Europa nel medio termine mi sembra fantasia: prima di uno o due anni nessuno degli impianti sarà pronto e anche quando lo sarà rappresenterà solo una piccolo porzione dell’offerta mondiale di GNL. Gli USA non saranno un esportatore significativo di gas prima del 2020 e, probabilmente, non lo saranno mai.

Lo stesso dicasi per le risorse di shale europee: anche se tutti i governi europei dessero oggi il via libera al suo sfruttamento, sarebbero necessari 5-10 anni per avere una produzione significativa. Ci vuole del tempo per creare da zero un’industria.

Come più volte detto su questo blog, bisogna stare attenti quando si leggono notizie sui temi energetici: spesso chi scrivi non è ben informato o, peggio, dice solo delle mezze verità per poter sostenere la sua posizione.